XXXII domenica del tempo ordinario

La lettera agli Ebrei ci parla del mistero centrale della nostra salvezza: i peccati di molti sono perdonati grazie all’offerta che Gesù Cristo ha fatto di se stesso una volta per tutte! Egli, entrando nel cielo, si è presentato al cospetto di Dio in nostro favore! Noi quindi viviamo riconoscenti a lui, cui dobbiamo la salvezza, e attendiamo la sua seconda venuta: allora egli giudicherà il mondo! Egli lo giudicherà secondo quella Parola che lui ha già pronunciato, e che noi abbiamo udito e teniamo nel cuore: il suo giudizio dunque non ci riserverà sorprese, perché conosciamo la sua volontà! Siamo quindi fortunati, abbiamo ricevuto una grazia grande quando abbiamo conosciuto il Signore, maestro che ci prepara alla vita eterna! Con desiderio ardente cerchiamo di guardare a lui, di udire ogni sua parola, di vedere ogni espressione del suo volto!

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XXXI domenica del tempo ordinario

Ci troviamo ormai a Gerusalemme e Cristo ha già compiuto il gesto forte di cacciare i venditori del tempio. Dopo essere stato interrogato da sommi sacerdoti, scribi e anziani sulla sua autorità e sulla resurrezione dei morti ora subisce per la terza volta una sorta di interrogatorio. Questa volta è uno degli scribi, certamente a conoscenza che Cristo compiva gesti significativi nel giorno di sabato, a porgli la questione di quale è il grande comandamento, quello che anche Dio ha osservato e per questo considerato il primo di tutti i comandamenti, cioè il riposo del sabato.

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Tutti i Santi

Le preghiere e le letture di oggi mostrano in cosa consiste la gioia della santità: godere dello splendore dell’amore di Dio per noi. E tutti gli sguardi si accentrano sulla figura dell’Agnello glorioso e immolato ‘fin dalla fondazione del mondo’ (Ap 13,8). Il mondo è uscito dall’amore di Dio, di esso è intessuto e percorso, di esso parla, ma quanta tenebra ne impedisce la visione!

Lo sguardo della Chiesa non è però attirato come da un punto di fuga situato oltre la storia, come si trattasse di riempirsi gli occhi con una visione consolatoria. La sua visione parla di un’esperienza quotidiana; parla di realtà ultima ma vicina, più reale delle cose di tutti i giorni. Parla al cuore degli aneliti che lo assillano, delle radici che lo costituiscono, delle tensioni che lo lavorano, dei desideri che l’abitano.

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XXX domenica del tempo ordinario

Il brano evangelico di oggi sia per il racconto che per la collocazione nella trama della narrazione evangelica è molto singolare. Possiamo notare alcuni dettagli. I Padri si sono chiesti come mai Marco nomini il cieco con il suo nome proprio, Bartimeo, il figlio di Timeo. Oltre Giairo e gli apostoli, i personaggi evocati non vengono chiamati nel vangelo con nomi propri. Forse si trattava di un personaggio conosciuto, forse un benestante decaduto al punto che il figlio, cieco, fosse costretto a sedere sul bordo della strada a chiedere l’elemosina. Il modo di rivolgersi di Gesù a Bartimeo ricalca la stessa maniera con cui si era rivolto ai figli di Zebedeo, però con un esito diverso: diniego a chi chiedeva gloria, compassione a chi chiede guarigione. I verbi usati nel racconto hanno accenti assolutamente speciali. Tutti i verbi del brano sono intensivi: Bartimeo grida, non semplicemente chiama; ripetutamente grida (tra l’altro, il grido del cieco è diventato il paradigma dell’invocazione della preghiera di Gesù, della preghiera del cuore!); getta via il mantello, non semplicemente se lo toglie; balza in piedi, non semplicemente si alza; si rivolge a Gesù da dentro un’emozione che aveva già lavorato il suo cuore, sebbene non avesse ancora mai potuto vederlo in faccia e, appena lo vede, non può che mettersi a seguirlo. Tutto il racconto assume una valenza simbolica precisa, che la liturgia fa risaltare

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XXIX domenica del tempo ordinario

Anche oggi il Vangelo ci mette in cammino con Cristo. Insieme a Lui stiamo andando verso Gerusalemme: manca poco, c’è solo l’episodio del cieco di Gerico (Mc 10,46-52) e poi Gesù farà il solenne ingresso a Gerusalemme.

Ormai il Maestro ha concluso la predicazione alle folle e, in qualche modo, si dedica solo ai discepoli. Purtroppo Egli deve constatare ancora, con amarezza, che continuano a non capire, che fraintendono, che anche nella sua cerchia più stretta c’è un modo di pensare che impedisce di vedere veramente chi Egli è, perché è venuto e perché il Padre lo ha mandato. Siamo ormai dopo il terzo annuncio della passione: Cristo per la terza volta esplicita la sua identità di dono del Padre e dichiara che il Padre lo ha consegnato. Egli è donato agli uomini perché è consegnato dal Padre. Non si tratta della scelta arbitraria di fare l’eroe e di offrirsi per essere una sorta di vittima sacrificale. No, Gesù è il dono del Padre per l’umanità, perché quando l’umanità toccherà la sua carne, allora si rivelerà chi veramente è il Padre. Il Padre ci ritiene degni di “affidarci” il suo unico Figlio.

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Corso di formazione a Roma

Dal 14 al 19 ottobre un gruppo di postulanti, novizie e giovani professe si sono riunite con le loro formatrici  presso il monastero di Roma per un corso di formazione.

XXVIII domenica del tempo ordinario

Se il brano evangelico di domenica scorsa aveva presentato lo sbigottimento dei discepoli rispetto all’insegnamento di Gesù sul matrimonio e sulla verginità per il regno dei cieli, ora lo sbigottimento è dovuto al suo insegnamento sulle ricchezze. L’occasione è fornita dalla richiesta di un giovane ricco che interpella Gesù a proposito della vita eterna. Davanti all’esito dell’incontro, che ha lasciato tutti con la bocca amara, Gesù chiosa: “Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!” e, subito dopo: “Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio!”. Il giovane se ne era andato rattristato perché non ha avuto il coraggio di disfarsi delle sue ricchezze, a fronte di una richiesta, liberamente formulata, che evidentemente gli derivava dal fatto che non era soddisfatto della sua vita, pur devota. Va notato subito che Gesù non ha chiesto a tutti di abbandonare le proprie ricchezze per seguirlo, ma solo ad alcuni, a quelli che aveva scelto perché stessero con lui e per mandarli a predicare. L’insegnamento di Gesù, perciò, non riguarda il possesso delle ricchezze.

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XXVII domenica del tempo ordinario

Per comprendere il brano evangelico di oggi dobbiamo collocarlo nel contesto religioso del tempo. La domanda dei farisei, domanda tranello, non verteva tanto sul carattere lecito del divorzio, che anche la Legge consentiva (Dt 24,1: “Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che ella non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via dalla casa”), ma a quale condizione lo fosse. Nella controversia tra le due scuole di Hillel e Shammai, ai tempi di Gesù prevaleva la prima, più rigorista: il divorzio è lecito solo a una condizione, in caso cioè di unione illegittima (che anche Mt 5,32 contempla) o di adulterio, mentre più tardi prevalse la seconda, più lassista: il divorzio è lecito per qualsiasi motivo. La legge sul divorzio proteggeva la donna dall’accusa di adulterio, perché le permetteva un nuovo matrimonio. Nell’ordinamento ebraico ai tempi di Gesù sembra che spettasse solo al marito l’iniziativa del ripudio, mentre nell’ambiente greco-romano spettava anche alla donna. Così Marco, che scrive per i convertiti dal paganesimo, attualizza l’insegnamento di Gesù per coloro che provenivano dal paganesimo.

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XXVI domenica del tempo ordinario

Il brano di Marco, al di là del contenuto specifico delle parole di Gesù, sottolinea due realtà: l’estrema preziosità della fede nel Signore Gesù e la tensione per il Regno, segreto della vita. Ambedue le realtà sono suggerite dal canto al vangelo: “La tua parola, Signore, è verità; consacraci nella verità” (cf Gv 17,17). Come se, davanti alla proclamazione del vangelo, pregassimo: fa’ che viviamo della verità delle tue parole, aderendovi intimamente, in tutta evidenza per il nostro cuore. In questo brano, Gesù proclama la verità sotto forma di promessa e sotto forma di minaccia. La promessa è rivolta a chi non ha ancora aderito a lui e la minaccia a chi ha già aderito, ma il contenuto della promessa e della minaccia è il medesimo: quanto è preziosa per la nostra vita la conoscenza dei misteri del Regno!

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XXV domenica del tempo ordinario

Gesù sta salendo verso Gerusalemme – nel Vangelo di Marco è descritta una sola salita verso la città santa – e insegna, cioè spiega come si compirà la sua missione: “Il Figlio dell’uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà». Ma i discepoli non capiscono. Anzi la loro domanda ricorrente, tacita o esplicita, è: “Chi è costui?” (cf Mc 1,27; Mt 21,10). Ma perché non comprendono? Perché hanno una mente chiusa, poco lungimirante. Non si può capire Cristo con una mentalità, direbbe papa Francesco, “mondana”. Per entrare nel “pensiero di Cristo” ci vuole, come abbiamo sentito tante volte, prima di tutto la disponibilità ad accogliere la sua novità, bisogna aprirsi a un modo nuovo di pensare, illuminato proprio da Gesù. Una visione esclusivamente terrena non riesce a comprendere Cristo. Serve, invece, un pensiero spirituale ossia generato dallo Spirito Santo, senza il quale non siamo in grado di cogliere Cristo come dono del Padre (cf 1Cor 2,12). I discepoli, all’opposto, sono ancora fermi a interrogarsi su chi sia il più grande, perciò tacciono quando Gesù chiede di che cosa stavano parlando lungo la strada (cf Mc 9,33). La domanda del Maestro risveglia in loro la consapevolezza di essere caduti in un modo di discutere pragmatico, improntato alle opinioni dominanti. Ma intanto Cristo annuncia che “Il Figlio dell’uomo sarà consegnato nelle mani degli uomini” (Mc 9,31). “Essere consegnato” traduce il verbo grecoparadidomiche esprime una forte connotazione drammatica (cf Ger 38,19; Dan 7). Il Salvatore, infatti, “viene consegnato nelle mani di una generazione malvagia e perversa” (cf Mt 17,17) dalla quale sarà “sbranato” (cf Rm 5,8). Sarà consegnato alla morte. Ma Gesù trasforma la propria morte in dono, consegnandosi volontariamente: “Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio”. (cf Gv 10,18).

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