Tutti i Santi

Le preghiere e le letture di oggi mostrano in cosa consiste la gioia della santità: godere dello splendore dell’amore di Dio per noi. E tutti gli sguardi si accentrano sulla figura dell’Agnello glorioso e immolato ‘fin dalla fondazione del mondo’ (Ap 13,8). Il mondo è uscito dall’amore di Dio, di esso è intessuto e percorso, di esso parla, ma quanta tenebra ne impedisce la visione!

Lo sguardo della Chiesa non è però attirato come da un punto di fuga situato oltre la storia, come si trattasse di riempirsi gli occhi con una visione consolatoria. La sua visione parla di un’esperienza quotidiana; parla di realtà ultima ma vicina, più reale delle cose di tutti i giorni. Parla al cuore degli aneliti che lo assillano, delle radici che lo costituiscono, delle tensioni che lo lavorano, dei desideri che l’abitano.

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XXX domenica del tempo ordinario

Il brano evangelico di oggi sia per il racconto che per la collocazione nella trama della narrazione evangelica è molto singolare. Possiamo notare alcuni dettagli. I Padri si sono chiesti come mai Marco nomini il cieco con il suo nome proprio, Bartimeo, il figlio di Timeo. Oltre Giairo e gli apostoli, i personaggi evocati non vengono chiamati nel vangelo con nomi propri. Forse si trattava di un personaggio conosciuto, forse un benestante decaduto al punto che il figlio, cieco, fosse costretto a sedere sul bordo della strada a chiedere l’elemosina. Il modo di rivolgersi di Gesù a Bartimeo ricalca la stessa maniera con cui si era rivolto ai figli di Zebedeo, però con un esito diverso: diniego a chi chiedeva gloria, compassione a chi chiede guarigione. I verbi usati nel racconto hanno accenti assolutamente speciali. Tutti i verbi del brano sono intensivi: Bartimeo grida, non semplicemente chiama; ripetutamente grida (tra l’altro, il grido del cieco è diventato il paradigma dell’invocazione della preghiera di Gesù, della preghiera del cuore!); getta via il mantello, non semplicemente se lo toglie; balza in piedi, non semplicemente si alza; si rivolge a Gesù da dentro un’emozione che aveva già lavorato il suo cuore, sebbene non avesse ancora mai potuto vederlo in faccia e, appena lo vede, non può che mettersi a seguirlo. Tutto il racconto assume una valenza simbolica precisa, che la liturgia fa risaltare

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XXIX domenica del tempo ordinario

Anche oggi il Vangelo ci mette in cammino con Cristo. Insieme a Lui stiamo andando verso Gerusalemme: manca poco, c’è solo l’episodio del cieco di Gerico (Mc 10,46-52) e poi Gesù farà il solenne ingresso a Gerusalemme.

Ormai il Maestro ha concluso la predicazione alle folle e, in qualche modo, si dedica solo ai discepoli. Purtroppo Egli deve constatare ancora, con amarezza, che continuano a non capire, che fraintendono, che anche nella sua cerchia più stretta c’è un modo di pensare che impedisce di vedere veramente chi Egli è, perché è venuto e perché il Padre lo ha mandato. Siamo ormai dopo il terzo annuncio della passione: Cristo per la terza volta esplicita la sua identità di dono del Padre e dichiara che il Padre lo ha consegnato. Egli è donato agli uomini perché è consegnato dal Padre. Non si tratta della scelta arbitraria di fare l’eroe e di offrirsi per essere una sorta di vittima sacrificale. No, Gesù è il dono del Padre per l’umanità, perché quando l’umanità toccherà la sua carne, allora si rivelerà chi veramente è il Padre. Il Padre ci ritiene degni di “affidarci” il suo unico Figlio.

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Corso di formazione a Roma

Dal 14 al 19 ottobre un gruppo di postulanti, novizie e giovani professe si sono riunite con le loro formatrici  presso il monastero di Roma per un corso di formazione.

XXVIII domenica del tempo ordinario

Se il brano evangelico di domenica scorsa aveva presentato lo sbigottimento dei discepoli rispetto all’insegnamento di Gesù sul matrimonio e sulla verginità per il regno dei cieli, ora lo sbigottimento è dovuto al suo insegnamento sulle ricchezze. L’occasione è fornita dalla richiesta di un giovane ricco che interpella Gesù a proposito della vita eterna. Davanti all’esito dell’incontro, che ha lasciato tutti con la bocca amara, Gesù chiosa: “Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!” e, subito dopo: “Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio!”. Il giovane se ne era andato rattristato perché non ha avuto il coraggio di disfarsi delle sue ricchezze, a fronte di una richiesta, liberamente formulata, che evidentemente gli derivava dal fatto che non era soddisfatto della sua vita, pur devota. Va notato subito che Gesù non ha chiesto a tutti di abbandonare le proprie ricchezze per seguirlo, ma solo ad alcuni, a quelli che aveva scelto perché stessero con lui e per mandarli a predicare. L’insegnamento di Gesù, perciò, non riguarda il possesso delle ricchezze.

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XXVII domenica del tempo ordinario

Per comprendere il brano evangelico di oggi dobbiamo collocarlo nel contesto religioso del tempo. La domanda dei farisei, domanda tranello, non verteva tanto sul carattere lecito del divorzio, che anche la Legge consentiva (Dt 24,1: “Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che ella non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via dalla casa”), ma a quale condizione lo fosse. Nella controversia tra le due scuole di Hillel e Shammai, ai tempi di Gesù prevaleva la prima, più rigorista: il divorzio è lecito solo a una condizione, in caso cioè di unione illegittima (che anche Mt 5,32 contempla) o di adulterio, mentre più tardi prevalse la seconda, più lassista: il divorzio è lecito per qualsiasi motivo. La legge sul divorzio proteggeva la donna dall’accusa di adulterio, perché le permetteva un nuovo matrimonio. Nell’ordinamento ebraico ai tempi di Gesù sembra che spettasse solo al marito l’iniziativa del ripudio, mentre nell’ambiente greco-romano spettava anche alla donna. Così Marco, che scrive per i convertiti dal paganesimo, attualizza l’insegnamento di Gesù per coloro che provenivano dal paganesimo.

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