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Prima domenica di Avvento

L’invito che percorre tutto l’Avvento è ‘fate attenzione’, ‘vegliate’. L’invito riguarda la tensione dello sguardo puntato verso un unico punto. Volgete lo sguardo al Figlio dell’uomo che per voi ha patito, è morto, è risorto, sul quale giocare il desiderio del cuore, la responsabilità dell’agire e il segreto della vita. È caratteristico che il passo evangelico proclamato oggi: “Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!” (Mc 13,37) sia seguito immediatamente dal racconto della passione di Gesù.  La vigilanza, di cui ci è fatto comando, riguarda la capacità di cogliere la grandezza dell’amore di Dio che in Gesù si è manifestato in tutto il suo splendore. È quell’amore che ci salva dall’angoscia, che ci custodisce nell’agire e ci fa scoprire il segreto del vivere.

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Cristo Re

Il brano di oggi, che chiude l’anno liturgico, non è una semplice parabola, ma la visione di un giudizio profetico che ci fa contemplare nello stesso tempo, in uno sguardo d’insieme, la verità di questo mondo e quella del mondo futuro. Mette in scena la fondamentale chiamata comune alla premura vicendevole come senso del vivere. Tale chiamata risponde all’inprint che sigilla la creazione: se il mondo è stato creato per amore, solo con l’amore trova il compimento, solo con l’amore se ne coglie il senso

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XXX domenica del tempo ordinario

Per cogliere la portata della risposta di Gesù alla domanda sul comandamento grande, la liturgia di oggi ci offre varie porte di accesso. Il brano evangelico risponde a due grosse domande che serpeggiano nel nostro cuore: 1) che tipo di amore Dio ci richiede se ci comanda di amare? 2) dato che il comandamento riguarda l’agire, interiore e esteriore, allora cosa cerchiamo con il voler osservare il comandamento?

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XXVIII domenica del tempo ordinario

Ascoltando la parabola di oggi insieme alle altre due delle domeniche precedenti, ci accorgiamo che Gesù, nel contrasto che si sta consumando tra lui e i capi del popolo, nel suo tentativo di svegliare le coscienze, aggiunge due particolari nuovi. Se prima aveva parlato del padrone di una vigna e dell’invio del figlio che sarà ucciso, ora parla del padrone che ha preparato le nozze per il figlio e degli invitati che non ne vogliono sapere di intervenire. L’accento ora è solo sugli invitati. È a loro che dobbiamo guardare per cogliere il senso della parabola. I primi invitati rifiutano. Il padrone manda i suoi servi a raccogliere sulle strade quanta più gente possono perché la sala del banchetto sia piena. Ecco il primo particolare nuovo: “andate ora ai crocicchi delle strade”. Non si tratta deicrocicchi all’interno della città, ma dei punti di confluenza delle strade fuori della città. Il significato evidente risulta: non solo gli israeliti sono invitati, ma tutti i popoli.

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XXVII domenica del tempo ordinario

La parabola di oggi è la seconda delle tre rivolte da Gesù direttamente alle autorità del tempio e della nazione. Essa ha un sapore profetico preciso: allude alla imminente passione di Gesù che incontra l’ostilità ormai dichiarata dei capi religiosi. Il contesto narrativo è altamente drammatico, come la conclusione, tirata dagli stessi ascoltatori, lascia perfettamente intendere. Avviene come nel caso di Davide, dopo il peccato di adulterio e assassinio, allorquando si condanna con le sue stesse parole rispondendo all’apologo del profeta Natan (cfr. 2 Sam 12,1-13). L’intensità emotiva dello scontro però non deriva dall’ira, ma da una passione d’amore.

Per cogliere tutta l’intensità di quella passione d’amore basta leggere il brano di Matteo con il corrispondente di Luca 20,9-19. Nel testo di Luca, i contadini percuotono, insultano, feriscono i servi (= i profeti) mandati dal padrone della vigna, ma solo del figlio del padrone si dice che, dopo averlo cacciato fuori della vigna, lo uccidono. Il figlio è presentato come l’amato. Come non cogliere il valore profetico di questi particolari applicati a Gesù stesso, lui, il Figlio amato, come viene testimoniato dalla voce del Padre al battesimo e alla trasfigurazione?

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XXV domenica del tempo ordinario

Con il salmo responsoriale confessiamo: “ Giusto è il Signore in tutte le sue vie e buono in tutte le sue opere” (Sal 144/145,17). Di per sé, non abbiamo obiezioni da opporre, ma in pratica quanto sono incomprensibili le vie di Dio! Il brano evangelico odierno, con la parabola degli operai che vengono pagati tutti allo stesso modo pur essendosi affaticati diversamente nel lavoro, né è la prova più inconfutabile. Davanti a un simile brano non riusciamo a toglierci di dosso la perplessità di fronte al comportamento del padrone: non è giusto però! Sappiamo di non poter sostenere che il padrone agisce ingiustamente (tutto nella parabola mira a che sia osservata la giustizia: non abbiamo pattuito un denaro? …) eppure non riusciamo a non condividere la presa di posizione dei primi operai che si vedono trattati come gli ultimi. Perché questo?

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XXIV domenica del tempo ordinario

Per cogliere la portata di rivelazione dell’insegnamento di Gesù sul comandamento del perdono vicendevole possiamo farci la domanda: perché Gesù insiste così tanto sul perdono vicendevole? Quando insegna la preghiera del Padre nostro, l’unica invocazione che riprende nella sua spiegazione è quella sul rimettere i debiti. Perché?

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XXIII domenica del tempo ordinario

Il brano evangelico di oggi e di domenica prossima è tratto dal capitolo 18 di Matteo, quello in cui viene delineata l’immagine realistica della comunità dei credenti, una comunità bisognosa sempre del perdono vicendevole. Il brano di oggi riguarda i peccati pubblici e quello di domenica prossima i peccati privati. Per meglio dire, oggi l’accento è sul peccato contro l’appartenenza alla chiesa e domenica prossima sul peccato che interessa le relazioni tra persone. In effetti, l’espressione che oggi si proclama: “Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te …”, nei codici più antichi, il Sinaitico e il Vaticano del IV secolo, non è riportato l’inciso ‘contro di te’, a indicare che si tratta di un peccato pubblico. Matteo delinea la linea da seguire in questi casi. Si può pensare che per peccato pubblico si intenda una posizione eretica rispetto alla fede della Chiesa, una rivendicazione di liceità in contrasto con l’insegnamento comune quanto al comportamento. L’invito è: non abbiate fretta di condannare! Cercate in ogni modo di far emergere le intenzioni del cuore, date spazio all’ascolto, lasciate che le cose si possano giudicare con calma, prima a tu per tu, poi con qualche persona e infine pubblicamente. Lasciate che i cuori si possano spiegare. Solo dopo aver tentato tutte le vie, allora la chiesa può ricorrere alla sua autorità di ‘legare e sciogliere’, vale a dire di scomunicare e accogliere. Evidentemente, la presa d’atto che la persona in accusa sia riconosciuta fuori dalla chiesa non è un principio di autorità. L’autorità è solo quella di accogliere, di perdonare, di sostenere la conversione dei cuori. E quando tutto risultasse inutile rispetto alla pervicacia dei cuori, vale sempre il ricorso alla preghiera, vale a dire al mistero della benevolenza dei cuori che affidano a Dio altri cuori che solo Lui conosce.

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XVIII domenica del tempo ordinario

Il brano evangelico incastona l’episodio della moltiplicazione dei pani nel movimento di compassione di Dio per l’uomo: “e sentì compassione per loro”. Dietro ogni parola di Gesù, dietro ogni gesto sta la sua compassione, che rimanda direttamente all’amore sconfinato di Dio per i suoi figli, per i quali non ha esitato a mandare il suo Figlio. Proprio come annotava Origene in un suo splendido commento a Ezechiele: “Egli è disceso sulla terra mosso a pietà del genere umano, ha sofferto i nostri dolori prima ancora di patire la croce e degnarsi di assumere la nostra carne; se egli non avesse patito, non sarebbe venuto a trovarsi nella condizione della nostra vita di uomini. Prima ha patito, poi è disceso e si è mostrato. Qual è questa passione che per noi ha sofferto? È la passione dell’amore”. Proprio come proclama il salmo 144 riportando la rivelazione di Dio a Mosè sul Sinai dopo il peccato del vitello d’oro: “Paziente e misericordioso è il Signore, lento all’ira e ricco di grazia. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature”. È a partire da quella ‘passione’ che Gesù si ‘muove nelle viscere’ davanti allo smarrimento, alla sofferenza, alla fatica degli uomini. 

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XVII domenica del tempo ordinario

Per cogliere la portata di rivelazione delle parabole di oggi mi rifaccio a due altri passi del vangelo che riportano due affermazioni di Gesù: “ Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21) e “ di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta” (Lc 10,42). La sottolineatura è la seguente: il cuore cerca il suo tesoro; un solo tesoro conta! L’affermazione non riguarda solo la cosa, cioè il tesoro, ma anche il cuore, vale a dire: il cuore è strutturato per godere del tesoro che lo riempie.

L’accento delle parabole di oggi non è posto sulle cose (tesoro o perla) ma sull’azione della scoperta. Come se Gesù dicesse: il regno dei cieli è simile a quando un uomo scopre un tesoro e pieno di gioia vende tutto quello che possiede per impossessarsene. Così, l’uomo non è chiamato a lasciare tutto per il Regno dei cieli, ma che lascia tutto perché trasportato dalla gioia di una scoperta che gli riempie il cuore. Il Regno non si contrappone a nulla di per sé. Non è la perla più bella delle altre. È, più semplicemente ma più potentemente, la perla di ‘grande valore’; è il tesoro tra i beni e non un bene più prezioso degli altri beni. È l’unica cosa di cui c’è bisogno (da intendere: l’unica cosa che può riempire il cuore, l’unica cosa che durerà per sempre, l’unica cosa che dà valore a tutto il resto e in funzione della quale tutto il resto è vissuto). Saper cogliere questo è frutto di sapienza e la colletta fa pregare: “concedi a noi il discernimento dello Spirito, perché sappiamo apprezzare fra le cose del mondo il valore inestimabile del tuo Regno, pronti ad ogni rinunzia per l’acquisto del tuo dono”.

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