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Solennità di Cristo Re

Il regno di Dio, secondo la parola del nostro Signore e Salvatore, non viene in modo da attirare l’attenzione e nessuno dirà: Eccolo qui o eccolo là; il regno di Dio è in mezzo a noi (cfr. Lc 16, 21), poiché assai vicina è la sua parola sulla nostra bocca e nel nostro cuore (cfr. Rm 10, 8). Perciò, senza dubbio, colui che prega che venga il regno di Dio, prega in realtà che si sviluppi, produca i suoi frutti e giunga al suo compimento quel regno di Dio che egli ha in sé. Dio regna nell’anima dei santi ed essi obbediscono alle leggi spirituali di Dio che in essi abita. Così l’anima del santo diventa proprio come una città ben governata. Nell’anima dei giusti è presente il Padre e col Padre anche Cristo, secondo quell’affermazione: «Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23).

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XXXIII domenica del tempo ordinario

Avvicinandoci alla fine dell’anno liturgico diventa quasi naturale meditare sul momento che ci avvicina alla meta della nostra esistenza, al traguardo, e quindi alla fine di quanto abbiamo visto e goduto lungo il cammino.

L’occasione per parlare di questo futuro viene data a Gesù dai discorsi che egli ode nei piazzali del tempio di Gerusalemme. Questo tempio era una magnifica opera d’arte, una meraviglia per tutti. Come tutte le cose belle e buone anche il tempio diventava tentazione: tentazione di gloriarsi di esso dimenticando di alzare lo sguardo a Dio e di obbedirgli, cioè di essere attenti alla sua vera immagine, l’uomo che ci cammina accanto, anche se povero e sofferente.

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XXXII domenica del tempo ordinario

“Non di tutti infatti è la fede”: con queste parole San Paolo spiega il motivo di molte sofferenze cui vanno incontro i cristiani. Essi vengono a trovarsi in mezzo a “ uomini perversi e malvagi”, che sono così perché appunto non hanno fede. La fede genera amore, la fede genera sapienza e cultura orientata a cercare la pace e le opere di bene, la fede cerca il conforto per tutti, la fede mette l’uomo in ricerca delle occasioni per donare se stesso. La fede infatti è dono del Dio dell’amore, il Dio  Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ha offerto se stesso per gli uomini peccatori.

Chi crede diventa capace di offrirsi e trova la sua gioia nel potersi donare.

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XXXI domenica del tempo ordinario

Nella narrazione di Luca, l’ultimo incontro di Gesù, prima di arrivare a Gerusalemme, è quello con Zaccheo, l’esattore delle tasse di Gerico, piccolo di statura. La gente, che fa ala al passaggio di Gesù, non gli lascia nemmeno un varco per sbirciare tanto che, se vorrà vedere che faccia abbia quel famoso maestro, dovrà correre avanti e salire su un sicomoro, un albero che può diventare molto grande ma i cui primi rami sono poco elevati.  Non poteva certo prevedere l’esito dell’incontro, ma sicuramente il suo cuore era già mosso da un’aspettativa misteriosa, che l’antifona di ingresso interpreta: “Non abbandonarmi, Signore mio Dio, da me non stare lontano;  vieni presto in mio aiuto,  Signore, mia salvezza” (Sal 37,22-23). Un uomo della sua importanza non poteva certo esporsi al ridicolo per un motivo futile. Gesù, che guarda ai cuori, sente il suo desiderio e gli si fa incontro.

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Tutti i santi

Quando la Chiesa contempla il paradiso dei santi, il suo sguardo non è attirato come da un punto di fuga situato oltre la storia, come si trattasse di riempirsi gli occhi con una visione consolatoria. La sua visione parla di un’esperienza quotidiana; parla di realtà ultima ma vicina, più reale delle cose di tutti i giorni. Parla al cuore degli aneliti che lo assillano, delle radici che lo costituiscono, delle tensioni che lo lavorano, dei desideri che l’abitano.

Lo splendore della santità come manifestazione dell’amore di Dio per noi costituisce già il senso della nostra storia, anche se spesso i nostri occhi sono così velati da non accorgersene più. Non abbiamo altro modo di sconfinare nell’eterno se non quello di giocare la nostra vita terrena, secondo tutto lo spessore di dignità che comporta. L’immagine chiave di tale dignità è la realtà degli uomini come ‘figli di Dio’: “ Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro”. Quello che siamo, siamo chiamati a diventarlo: è tutto il senso della vocazione umana.

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XXX domenica del tempo ordinario

Se la parabola di domenica scorsa verteva sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi mai, quella di oggi, invece, svela la condizione e il frutto della preghiera. Luca introduce la parabola con queste parole: “Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri” (Lc 18,9). Di per sé il testo dice più semplicemente: ‘per alcuni che erano persuasi, che erano convinti di essere giusti’, tanto che il latino rende con ‘qui in se confidebant tanquam iusti’. Ciò significa che chi prega con questi sentimenti non ha coscienza di essere presuntuoso; sarà il giudizio della parabola a svelarne l’intima presunzione in modo da far venire alla luce il peccato nascosto, quello che rende la preghiera irricevibile da parte di Dio. Non solo, ma la parabola metterà in evidenza la stretta connessione che esiste tra il percepirsi giusti e il fatto di disprezzare gli altri. Anche questo collegamento non è evidente per la coscienza dell’orante, ma la parabola ne mostrerà l’esito perverso.

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XXIX domenica del tempo ordinario

Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai”. Evidentemente Gesù teme che noi ci stufiamo nel pregare. E da dove ci deriva lo scoraggiamento (questo significa propriamente stancarsi, venir meno, lasciar perdere)?

La vita spirituale può essere colta come la fatica di vedere l’Invisibile e di guardare al mondo e all’uomo attraverso i Suoi occhi. La visione del mondo e della vita risulta così strettamente legata alla purificazione spirituale e all’ascesi dell’uomo ed è la visione di Dio che cambia l’intelligenza umana del mondo.

Gesù aveva appena risposto alla domanda dei farisei: “ Quando verrà il regno di Dio?” (Lc 17,20) con il ricordare che il regno di Dio non può essere visto come un fatto osservabile, ma solo nella fede in lui. Fede, che però è messa alla prova dalla fatica del vivere e dello stare nella storia, con le sue assurdità e con i suoi dolori. Aveva ricordato i tempi escatologici, vale a dire aveva cercato di orientare gli sguardi dei suoi ascoltatori verso il punto finale della storia, la venuta del Figlio dell’Uomo, venuta che però si manifesta già nel giudizio della croce, dove prevale la manifestazione dell’amore del Padre per noi. L’invito a pregare senza interruzione, che Luca esprime con gli stessi termini che usa san Paolo nelle sue lettere (si veda in particolare il passo di 1Ts 5,17), mira a sostenere lo sguardo dell’uomo oltre la cronaca, oltre il visibile, oltre le apparenze, per cogliere il mistero dell’amore di Dio, mai scontato per il cuore dell’uomo. Al ‘sempre’ dell’invito alla preghiera è per forza di cose abbinato il timore dello scoraggiamento, che si esprime con la domanda/lamentela/grido: ma perché Dio non interviene, non si fa sentire?

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XXVIII domenica del tempo ordinario

Potremmo definire il tema specifico della liturgia in questi termini: la fede che trabocca in gratitudine rende invincibili. Così mi suonano le parole di Gesù: “Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato” (Lc 17,19). Se ci chiedessimo: qual è il criterio della vera devozione gradita a Dio? Non avremmo che da riferirci al versetto di 1Ts 5,18 del canto all’alleluia: “In ogni cosa rendete grazie: questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi”. Vale a dire: se rendete grazie in ogni cosa, allora siete attenti all’appello di Dio, all’invito del suo cuore, che è quello di farci fare esperienza della sua volontà di benevolenza nei nostri riguardi attraverso gli eventi della nostra vita, che così diventa storia sacra, storia dell’incontro dei nostri affetti, di noi e di Dio; benevolenza, che si è manifestata in Gesù, di cui siamo chiamati a vedere il Volto e nella cui compagnia siamo invitati a camminare. A dire il vero, al rendere grazie Paolo unisce l’essere sempre lieti e il pregare ininterrottamente. Le tre cose insieme segnalano che il cuore ha presagito la presenza del suo Salvatore, che l’ha riconosciuto e al quale volgerà tutto il suo desiderio. A sottolineare la fecondità dell’atteggiamento del saper rendere grazie, i padri del deserto ripetevano che il rendere grazie in tutto solleva da ogni altro obbligo. Potessimo rimanere sempre in quell’atteggiamento, eviteremmo ogni intrusione del male nel nostro cuore.

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XXVII domenica del tempo ordinario

Venite, applaudiamo al Signore, / acclamiamo alla roccia della nostra salvezza.

Accostiamoci a lui per rendergli grazie, / a lui acclamiamo con canti di gioia!

Il salmo di risposta alla prima lettura ci fa contemplare Dio come colui che tiene in mano la nostra vita e la rende sicura, la realizza pienamente, la riempie di gioia!

Il brano del profeta Abacuc, a dire il vero, si apre con una lamentela rivolta al Signore. Molte volte il nostro sguardo è spettatore di situazioni penose, di sofferenza, persino di violenza e di ingiustizia. Liti e contese distruggono i popoli, e scoraggiano anche la nostra speranza. Ma proprio nel momento della nostra delusione e del nostro grido di aiuto Dio risponde con una parola di incoraggiamento. Possiamo continuare a sperare, perché Dio non si è dimenticato di noi. “ Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede”: Il  giusto, colui che si appoggia al suo Dio e vive obbediente alla sua parola, non deve temere. Semmai può temere “ colui che non ha l’animo retto”, perché questi non è aggrappato alla “ roccia della nostra salvezza”. Colui che obbedisce a Dio invece vive, ha gioia e sicurezza, grazie alla sua fede, grazie alla sua obbedienza alla parola di Dio.

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XXVI domenica del tempo ordinario

La parabola di oggi illustra in negativo quello che la parabola dell’amministratore disonesto illustrava in positivo: “Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand’ essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne”. La costatazione di fondo può essere riassunta così: il povero ha bisogno del ricco in vita, il ricco ha bisogno del povero in morte. Guai a non accorgersi di questo bisogno!

Possiamo leggere la parabola in tre tempi:

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