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Passione di Cristo

Dall’ Omelia di Padre Raniero Cantalamessa O.F.M. della Passione di Cristo

La croce di Cristo ha cambiato il senso del dolore e della sofferenza umana. Di ogni sofferenza, fisica e morale. Essa non è più un castigo, una maledizione. È stata redenta in radice da quando il Figlio di Dio l’ha presa su di sé. Qual è la prova più sicura che la bevanda che qualcuno ti porge non è avvelenata? È se lui beve davanti a te dalla stessa coppa. Così ha fatto Dio: sulla croce ha bevuto, al cospetto del mondo, il calice del dolore fino alla feccia. Ha mostrato così che esso non è avvelenato, ma che c’è una perla in fondo ad esso. E non solo il dolore di chi ha la fede, ma ogni dolore umano. Egli è morto per tutti. “Quando sarò elevato da terra, aveva detto, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). Tutti, non solo alcuni!

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Domenica delle Palme

Eppure la passione di questo giusto non si sarebbe compiuta se non ci fossero stati gli iniqui che uccisero il Signore.
Sant’Agostino,  Enarrationes in Psalmos 61,22

Le cose stanno lì e ci parlano, con la loro evidenza, semplicità e durezza. Le persone possono nascondersi, cambiare, mentire. Invece le cose, gli oggetti, i gesti ci ricordano in maniera impietosa come li abbiamo utilizzati, cosa ne abbiamo fatto. Sono le tracce della storia. Per questo ho pensato di ripercorrere il racconto della passione di Gesù lasciando parlare le cose.

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V domenica di Quaresima

Gesù ha appena saputo della malattia mortale del suo amico Lazzaro, ma non si muove subito: “Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato”. Il lettore del vangelo è subito avvertito di aguzzare lo sguardo. Non si tratterà di assistere semplicemente al miracolo di un richiamo alla vita di un uomo morto, ma di cogliere quello che da quel miracolo scaturisce, cioè la passione di Gesù nella quale lui sarà glorificato. Quando Marta, davanti al sepolcro del fratello, ricorda a Gesù il fetore dei morti, si sente dire: “Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?”. Dal punto di vista degli affetti umani, sembra che la domanda di fondo che serpeggia per tutto il brano non sia: perché la morte?, ma: perché Dio non impedisce la morte? Gli amici della famiglia di Lazzaro così pensano. Per noi invece la domanda che rimbalza può essere formulata così: sarà mai possibile vedere la gloria di Dio nella nostra vita?

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IV domenica di Quaresima

 Il racconto della guarigione del cieco nato è costruito con rara maestria. La chiesa lo legge nella prospettiva battesimale per cui vede nella figura del cieco la progressiva apertura alla fede del battezzando. Alcuni particolari sono significativi. Non è lui a chiedere la guarigione: l’iniziativa è di Gesù. Lui ha fiducia e va a lavarsi alla piscina di Siloe (quella dalla quale veniva attinta l’acqua portata solennemente verso il tempio e versata attorno all’altare nella solennità della festa delle capanne, cfr. Gv 7,37-39. Siloe significa piuttosto ‘chi invia [le acque]’e Giovanni, rendendolo al passivo, ‘Inviato’, indica che la nostra guarigione si trova in Gesù, che poco prima si era definito ‘inviato’ dal Padre, v. 4). Nelle parole del cieco guarito Gesù è indicato prima come ‘quell’uomo che si chiama Gesù’, poi ‘un profeta’, poi ‘che è da Dio’ e infine, davanti alla domanda di Gesù che lo va a cercare dopo che è stato cacciato dai farisei: “Tu credi nel Figlio dell’uomo?”, risponde: “Io credo, Signore!”.

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III domenica di Quaresima

Della Parola di Dio abbiamo sete, desiderio profondo, perché su di essa si gioca tutta la nostra vita. Leggendo il vangelo, che ci viene presentato oggi, ci colpisce il confronto tra la sete degli uomini e quella di Gesù, cioè tra i desideri coltivati dagli uomini e l’unico manifestato dal Signore.

La donna di Samaria viene ad attingere acqua, mentre i discepoli di Gesù hanno fame e vanno a far provvista di cibi in città. Gesù è rimasto presso questo pozzo, dove dalla città arriva una donna nell’ora più calda del giorno. Qualcuno si aspetterebbe che Gesù dicesse alla donna, come il patriarca Giacobbe in situazione analoga: «Vieni, ti aiuto a tirar su l’acqua!». E invece no, Gesù chiede un favore alla donna, che gli dia un po’ d’acqua da bere. Egli fa in modo che la donna non si senta inferiore, che ella percepisca di essere stimata, di poter essere utile, che la sua presenza sia gradita, lei che era stata già rifiutata molte volte dagli uomini. E mentre egli gode del gesto di amore della donna dissetandosi con l’acqua che ella gli ha offerto, parla di un’altra acqua, un’acqua viva che disseta le profondità del cuore.

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II domenica di Quaresima

Il racconto della trasfigurazione ha senso solo per un cuore che può dire con il salmo: “ Il mio cuore ripete il tuo invito: ‘Cercate il mio volto!’. Il tuo volto, Signore, io cerco” (Sal 26/27,8). Reso nella versione latina con il trasporto dell’emozione: “Tibi dixit cor meum: exquisivit te facies mea; faciem tuam, Domine, requiram”. Non è un caso che la trasfigurazione sia collocata tra due annunci della passione, a sottolineare che il Figlio di Dio risorto e il Figlio dell’uomo che soffre devono stare insieme nella fede dei discepoli. La consegna del silenzio riguarda proprio la natura della gloria di Gesù. Non si tratta di parlare di Gesù in termini di divinità gloriosa e potente, ma in termini pasquali: colui che ha sofferto la passione è colui che viene esaltato con la risurrezione. E questo non poteva essere colto che alla conclusione della storia di Gesù. La cosa ha un risvolto potente, che non è mai assimilato una volta per tutte dai credenti. La profezia di Daniele sul figlio dell’uomo: “ Gli furono dati potere, gloria e regno: tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto” (Dn 7,14) risponde all’essenza di quel silenzio perché l’unico potere di vittoria che Gesù si arroga è quello dell’amore crocifisso. Tanto da far dire al papa Leone Magno: “è più importante pregare per la pazienza che per la gloria”.

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I domenica di Quaresima

All’inizio della nostra celebrazione abbiamo chiesto perdono a Dio, anche oggi, come ogni volta che ci raduniamo, perché il peccato del mondo ci insegue e penetra le nostre ossa. Del peccato dell’uomo parla anche tutta la liturgia di questa prima domenica di Quaresima.

La prima lettura si sofferma a descrivere le varie fasi del sorgere del peccato nell’uomo, il modo con cui esso si origina in noi, e la stoltezza che l’uomo manifesta obbedendo più a se stesso e ai propri istinti che alla sapienza piena d’amore di Dio.

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Domenica delle Palme

La liturgia di oggi è dominata da un’acclamazione che la percorre tutta: viene il re della gloria!

Se la celebrazione è suddivisa in due momenti, la commemorazione dell’entrata festosa di Gesù a Gerusalemme e subito dopo della passione di Gesù, ciò che unisce i due tempi è appunto questo grido, prima esultante, festoso, poi sommesso, drammatico: Gesù accetta la proclamazione della sua regalità proprio sapendo che finirà sulla croce. Da lì si mostrerà in verità quale re di gloria sia e di quale gloria si tratti.

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V domenica di Quaresima

La liturgia incastona la figura della donna adultera, perdonata, dentro una rete di allusioni della Scrittura che aiutano a comprendere cosa è avvenuto nel suo cuore. S. Agostino, commentando la finale di questo passo, che non viene riportato dalla maggioranza degli antichi codici e che non sembra conosciuto dalla tradizione patristica greca, riassume plasticamente la scena: “rimasero soltanto loro due: la misera e la misericordia”. Nello spazio di una ritrovata dignità, percepita più dal tono con cui Gesù le si rivolge che dalle parole che le rivolge: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”, può ormai avvertire quello che il profeta Isaia proclama: “Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia. Non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa” (Is 43,19). Il cap. 43 di Isaia è ricco di espressioni tenerissime dell’amore eterno di Dio per il suo popolo.  Ed è da dentro l’intimità di benevolenza con cui si è accolti che si viene guariti dentro. E sicuramente lei avrà sentito arrivare al suo cuore quello che Gesù aveva detto alla samaritana al pozzo di Giacobbe: “L’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14). Si realizzava la profezia di Zaccaria: “In quel giorno vi sarà per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme una sorgente zampillante per lavare il peccato e l’impurità” (Zc 13,1).

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IV domenica di Quaresima

L’antifona di ingresso della liturgia, parafrasando un passo del profeta Isaia, esprime a meraviglia l’esito della parabola per il cuore dell’uomo: “Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa tutti voi che l’amate. Sfavillate con essa di gioia tutti voi che per essa eravate in lutto. Così sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni; succhierete e vi delizierete al petto della sua gloria” (Is 66,10-11). L’immagine è di un bambino ingordo che succhia al seno della mamma e se ne sazia beato. È l’immagine dell’uomo peccatore che, pentito, torna al suo Dio e ne scopre la tenerezza, quella che la parabola vuole proprio mettere in evidenza. Non è però un’immagine usuale per la fantasia religiosa dell’uomo. L’uomo preferisce distinguersi dai suoi simili, peccatori come lui, esibendo una parvenza di giustizia, senza tener conto dei sentimenti di Dio. Ed è proprio questo che rende la sua ‘giustizia’ non gradita perché non solidale con i sentimenti di Dio.

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