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XXXI domenica del tempo ordinario

Ci troviamo ormai a Gerusalemme e Cristo ha già compiuto il gesto forte di cacciare i venditori del tempio. Dopo essere stato interrogato da sommi sacerdoti, scribi e anziani sulla sua autorità e sulla resurrezione dei morti ora subisce per la terza volta una sorta di interrogatorio. Questa volta è uno degli scribi, certamente a conoscenza che Cristo compiva gesti significativi nel giorno di sabato, a porgli la questione di quale è il grande comandamento, quello che anche Dio ha osservato e per questo considerato il primo di tutti i comandamenti, cioè il riposo del sabato.

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XXIX domenica del tempo ordinario

Anche oggi il Vangelo ci mette in cammino con Cristo. Insieme a Lui stiamo andando verso Gerusalemme: manca poco, c’è solo l’episodio del cieco di Gerico (Mc 10,46-52) e poi Gesù farà il solenne ingresso a Gerusalemme.

Ormai il Maestro ha concluso la predicazione alle folle e, in qualche modo, si dedica solo ai discepoli. Purtroppo Egli deve constatare ancora, con amarezza, che continuano a non capire, che fraintendono, che anche nella sua cerchia più stretta c’è un modo di pensare che impedisce di vedere veramente chi Egli è, perché è venuto e perché il Padre lo ha mandato. Siamo ormai dopo il terzo annuncio della passione: Cristo per la terza volta esplicita la sua identità di dono del Padre e dichiara che il Padre lo ha consegnato. Egli è donato agli uomini perché è consegnato dal Padre. Non si tratta della scelta arbitraria di fare l’eroe e di offrirsi per essere una sorta di vittima sacrificale. No, Gesù è il dono del Padre per l’umanità, perché quando l’umanità toccherà la sua carne, allora si rivelerà chi veramente è il Padre. Il Padre ci ritiene degni di “affidarci” il suo unico Figlio.

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XXV domenica del tempo ordinario

Gesù sta salendo verso Gerusalemme – nel Vangelo di Marco è descritta una sola salita verso la città santa – e insegna, cioè spiega come si compirà la sua missione: “Il Figlio dell’uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà». Ma i discepoli non capiscono. Anzi la loro domanda ricorrente, tacita o esplicita, è: “Chi è costui?” (cf Mc 1,27; Mt 21,10). Ma perché non comprendono? Perché hanno una mente chiusa, poco lungimirante. Non si può capire Cristo con una mentalità, direbbe papa Francesco, “mondana”. Per entrare nel “pensiero di Cristo” ci vuole, come abbiamo sentito tante volte, prima di tutto la disponibilità ad accogliere la sua novità, bisogna aprirsi a un modo nuovo di pensare, illuminato proprio da Gesù. Una visione esclusivamente terrena non riesce a comprendere Cristo. Serve, invece, un pensiero spirituale ossia generato dallo Spirito Santo, senza il quale non siamo in grado di cogliere Cristo come dono del Padre (cf 1Cor 2,12). I discepoli, all’opposto, sono ancora fermi a interrogarsi su chi sia il più grande, perciò tacciono quando Gesù chiede di che cosa stavano parlando lungo la strada (cf Mc 9,33). La domanda del Maestro risveglia in loro la consapevolezza di essere caduti in un modo di discutere pragmatico, improntato alle opinioni dominanti. Ma intanto Cristo annuncia che “Il Figlio dell’uomo sarà consegnato nelle mani degli uomini” (Mc 9,31). “Essere consegnato” traduce il verbo grecoparadidomiche esprime una forte connotazione drammatica (cf Ger 38,19; Dan 7). Il Salvatore, infatti, “viene consegnato nelle mani di una generazione malvagia e perversa” (cf Mt 17,17) dalla quale sarà “sbranato” (cf Rm 5,8). Sarà consegnato alla morte. Ma Gesù trasforma la propria morte in dono, consegnandosi volontariamente: “Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio”. (cf Gv 10,18).

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XXIII domenica del tempo ordinario

Già nel brano evangelico di domenica scorsa, l’evangelista Marco narrava la difficoltà, da parte di qualcuno, ad accogliere la novità di Cristo che non viene percepita né accettata. Gesù, infatti, propone una visione inedita della vita, costituita da una relazione totalmente nuova con Dio, che trova in Dio stesso il suo principio e si realizza in Dio stesso.

La visione ossessivamente dettagliata della religione, che hanno in mente scribi e farisei, tenta – senza riuscirci – di rendere l’uomo più sicuro del suo rapporto con Dio, semplicemente attraverso l’adempimento preciso di una serie di prescrizioni. Invece, un Dio che in Gesù si rivela come Padre buono, che perdona tutti e che tutti ama, intacca questa ideologia legalistica ed è scomodo per scribi e farisei, che si basavano più sulla legge che sulla relazione. Triste è constatare che i discepoli sembra la pensino allo stesso modo.

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XVIII domenica del tempo ordinario

Il segno del pane che abbiamo visto nel vangelo della scorsa domenica è stato frainteso e non compreso.

La gente si mette alla ricerca di Gesù ma il verbo che Giovanni usa è un cercare che sempre contiene una connotazione di male, di qualcuno che cerca una cosa per i suoi scopi, cioè sapendo in anticipo cosa cerca e volendo trovare ciò che cerca. Quindi in fondo vuol dire non cercare mai veramente Gesù così come Lui vuole rivelarsi ed essere trovato. È usato questo termine per Maria di Magdala in Gv 20, 15 dove poi Maria vorrebbe trattenerlo ed è usato tra le altre volte in Gv 10,39 dove le autorità lo vogliono prendere per ucciderlo.

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XVII domenica del tempo ordinario

Dal vangelo di Marco si passa con la liturgia di oggi per quattro domeniche al vangelo di Giovanni. La cornice di questo episodio è la Pasqua dei Giudei (cf Gv 6, 4). Gesù passa all’altra riva, non viene precisato né di quale riva si tratti, né come passi ma solo che una grande folla lo segue. Già questi due fatti ci rimandano certamente all’esodo, a Mosè e al popolo che lo segue. Qui il popolo sta seguendo il vero Messia vedendo i segni che Lui faceva sugli infermi e questo Messia acquista immediatamente nel racconto una dimensione definitiva, divina perché venendo nell’altra riva, in un altro mondo, sul monte, Lui si siede con i dodici, che è proprio la stessa immagine che in Matteo ci lascia Cristo stesso dischiudendo il compimento escatologico (Mt 19, 28) in una visione escatologica di una liberazione piena, dove si giunge a un mondo definitivo in cui Cristo prende il possesso del potere e del giudizio (cf Ap 4, 9.11; 5, 13; 7, 12;14,7). Inoltre la scena escatologica si disegna sullo sfondo dell’agnello Pasquale (cf Ap 5, 7-9; 20, 12). Perciò è del tutto chiaro che l’esodo che ora viene realizzato da Cristo è il passaggio alla salvezza definitiva.

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XVI domenica del tempo ordinario

Gli apostoli sono appena tornati dalla missione ma evidentemente “tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato” (Mc 6,30) non basta. C’è davvero un equivoco di fondo. Cristo infatti non li ha mandati ad insegnare.

Due termini ci aiutano a delineare i contorni della questione:ekerixan,predicarono e insegnarono,edidaxan. Quando Cristo ha convocato gli apostoli, li ha costituiti Dodici affinché stessero con Lui e “anche per mandarli a predicare” (Mc 3,14). Il punto essenziale rimane comunque lo stare con Lui dal quale nasce anche il modo, farsi accogliere per far leva sull’accoglienza degli altri. Su questa accoglienza si innesta il predicare per cui li ha costituiti all’inizio, è la preparazione del terreno sul quale cade la parola, cioè l’evento Cristo, il Regno dei cieli che è qui. Questo sottende il predicare ma certamente al sesto capitolo è ancora prematuro perché manca esattamente l’esperienza fondante della pasqua che infatti, quando Cristo comincerà a prospettare, non riescono ad accettare, una tale via di salvezza provoca repulsione (cf Mc 8, 14-21.31-33). Dunque non possono predicare in nessun modo perché ciò che manca loro è questo stare con Lui, manca in loro per primi l’accoglienza dell’esperienza vera di Cristo come Messia. Allora diventa facile insegnare, ma l’insegnamento che non si personalizza in Cristo e non viene dalla sua Pasqua è fuorviante. Si presta all’ideologia, al moralismo.

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XIII domenica del tempo ordinario

Nel vangelo di oggi Cristo torna nella sua terra dal paese dei pagani, dove ha cominciato la liberazione dal demonio. Questo suo ritorno è segnato dalla manifestazione di una nuova realtà, cioè la realtà della fede, la realtà che si basa e si realizza in pienezza solo in una relazione di affidamento totale ad una persona concreta che è Gesù di Nazareth, vero uomo e vero Dio. È la relazione che è costituiva dell’esistenza dell’uomo e perciò salva tutta la vita nella sua interezza, dice di dare da mangiare alla figlia di Giairo a far vedere che la vita che riceviamo da Lui – e che noi nel Battesimo abbiamo ricevuto veramente da Lui –  non è alternativa alla vita che abbiamo ricevuto dai genitori, ma è una vita che assorbe l’altra salvandola. Non può evitare la morte, ma nell’unione con Cristo questa morte è un passaggio. È interessante perché in tutti e due gli esempi torna il numero 12. L’emorroissa soffre da dodici anni e dodici anni ha la bambina: dodici è il numero di Israele, le dodici tribù sono la pienezza del popolo ebraico, di tutto Israele. Tutte e due vengono chiamate figlie: una lo è e l’altra è così chiamata quando viene guarita. Questa immagine di Israele dice che stiamo parlando della figlia di Sion, colpita davvero da una ferita mortale (cf Ger 14,17). Nessun medico riesce a guarirla, anzi a causa dei medici l’emorroissa è peggiorata senza che servisse a nulla dare tutto ciò che aveva per guarire.

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X Domenica del tempo ordinario

Il vangelo di oggi segue in Marco l’istituzione dei Dodici e il primo effetto davanti alle folle che cominciano a radunarsi intorno a Gesù riguarda quelli che sono chiamati i suoi parenti, i quali lo ritengono “fuori di sé”. Quello che Cristo ha cominciato a dire colpisce fortemente gli ascoltatori e produce la reazione degli spiriti immondi. La liberazione dal male che lui ha iniziato non può non provocare il male a reagire fino al punto di accusarlo di essere posseduto da Beelzebul (cf Mc 3,22). Ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà perdonata, dice Gesù (cf Mc 3,29).

A Pentecoste si è compiuta la promessa del Padre e il dono dello Spirito è la condizione essenziale per poter seguire Gesù. Rimane confuso chi non è coinvolto in questa discesa e comincia a ragionare secondo termini puramente umani. Intestardirsi nell’orizzonte solo umano e addirittura appellarsi alle forze oscure, tenebrose, opposte a Dio invece di accogliere il dono dello Spirito che manifesta e realizza nell’umanità del Figlio un’esistenza nuova vuol dire bestemmiare lo Spirito Santo. Il non perdono spiega questa chiusura in sé stessi e la schiavitù di questa nostra limitata, mortale natura. Questo ricorda direttamente il colloquio con Nicodemo: “Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito” (Gv 3,6). 

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