XXIX domenica del tempo ordinario

Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai”. Evidentemente Gesù teme che noi ci stufiamo nel pregare. E da dove ci deriva lo scoraggiamento (questo significa propriamente stancarsi, venir meno, lasciar perdere)?

La vita spirituale può essere colta come la fatica di vedere l’Invisibile e di guardare al mondo e all’uomo attraverso i Suoi occhi. La visione del mondo e della vita risulta così strettamente legata alla purificazione spirituale e all’ascesi dell’uomo ed è la visione di Dio che cambia l’intelligenza umana del mondo.

Gesù aveva appena risposto alla domanda dei farisei: “ Quando verrà il regno di Dio?” (Lc 17,20) con il ricordare che il regno di Dio non può essere visto come un fatto osservabile, ma solo nella fede in lui. Fede, che però è messa alla prova dalla fatica del vivere e dello stare nella storia, con le sue assurdità e con i suoi dolori. Aveva ricordato i tempi escatologici, vale a dire aveva cercato di orientare gli sguardi dei suoi ascoltatori verso il punto finale della storia, la venuta del Figlio dell’Uomo, venuta che però si manifesta già nel giudizio della croce, dove prevale la manifestazione dell’amore del Padre per noi. L’invito a pregare senza interruzione, che Luca esprime con gli stessi termini che usa san Paolo nelle sue lettere (si veda in particolare il passo di 1Ts 5,17), mira a sostenere lo sguardo dell’uomo oltre la cronaca, oltre il visibile, oltre le apparenze, per cogliere il mistero dell’amore di Dio, mai scontato per il cuore dell’uomo. Al ‘sempre’ dell’invito alla preghiera è per forza di cose abbinato il timore dello scoraggiamento, che si esprime con la domanda/lamentela/grido: ma perché Dio non interviene, non si fa sentire?

Come dice il salmo: “ Svégliati! Perché dormi, Signore? Déstati, non respingerci per sempre! Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione?” (Sal 44,24-25). È lo scandalo dell’inazione apparente di Dio di fronte all’imperversare dell’ingiustizia e dell’oppressione. Tutti i testi salmici della liturgia di oggi alludono alla situazione drammatica dell’uomo. La vita dell’uomo non è drammatica semplicemente perché continuamente provata da afflizioni e ingiustizie, ma perché nelle afflizioni e nelle ingiustizie subite ci può restare preclusa la visione di Dio. Come a dire: l’aspetto più angoscioso per il cuore dell’uomo è la delusione nei confronti del suo Dio, la perdita di speranza e il tormento di un amore mancato. In effetti, la parabola termina con l’esternazione accorata di Gesù: “ Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. D’altro canto, dire che Dio esaudisce ‘prontamente’ (sia pure interpretato ‘inaspettatamente’) quando il grido della preghiera si impasta con il timore che non sia ascoltata perché dura da un tempo interminabile, non sembra suonare come una presa in giro?

Il canto di ingresso (sal 16,6.8) descrive la fiducia in Dio ma nella costatazione che gli empi opprimono il giusto; il salmo responsoriale, il salmo 120, allude alla fiducia in Dio ma nel pericolo di un’invasione (‘alzare gli occhi verso i monti’ allude al possibile alleato assiro contro l’attacco egiziano, aiuto che però si tramuterà in schiavitù e allora il salmista invita a fidarsi di Dio). Ecco perché Gesù non teme di paragonare Dio al giudice disonesto della sua parabola. Con un ragionamento a fortiori, Gesù ci dice: se anche un giudice disonesto alla fine si decide a togliersi dai piedi una vedova importuna facendole giustizia, cosa non farà Dio per i suoi fedeli? Ma il suggerimento suona: guardate a quel Figlio dell’uomo che è stato messo nelle vostre mani, che ha patito ed è morto sulla croce per voi, e riconoscete quanto è grande l’amore di Dio per voi! Non temete, Dio sta alla vostra destra, come dice il salmo 120.

Anche il racconto della preghiera di intercessione di Mosè sul monte va inteso nel suo contesto altamente drammatico. Il popolo di Israele, provato dalla sete nel deserto, aveva espresso la sua angoscia negli unici termini possibili per dei credenti: “ Il Signore è in mezzo a noi sì o no?” (Es 17,7). Noi potremmo dire: ma dov’è il Signore! Era poi seguito il miracolo dell’acqua scaturita dalla roccia che Mosè aveva percossa con il bastone di Dio. La memoria dell’episodio è fissata nel popolo non con il miracolo ottenuto ma con la contestazione e la protesta che l’aveva provocato: il luogo è chiamato Massa (prova) e Meriba (contestazione). Subito dopo il popolo corre un altro tremendo pericolo: l’attacco degli Amaleciti. È il nemico che viene a cercarli; non semplicemente che trovano un nemico sulla loro strada. È la prima battaglia di Israele dopo l’uscita dall’Egitto. L’angoscia del popolo, questa volta, sembra sparire dietro alla figura di Mosè, ritto sul monte a pregare per la salvezza del popolo e a quella di Giosuè che è mandato a combattere. Il fatto però che Mosè salga sul monte significa che è visibile a tutti, ai combattenti e al popolo che attende angosciato l’esito della battaglia. Mosè non alza semplicemente le mani, ma alza il bastone, quello con il quale aveva percosso le acque del mare e si erano ritirate, aveva percosso la roccia e questa aveva lasciato scaturire l’acqua, ora contro il nemico per ricordare che la vittoria è del Signore e non dell’uomo (cfr. Gs 8,18.26).

            Ma perché dobbiamo pregare sempre? Perché il regno di Dio non è osservabile, non si vede. E perché non dobbiamo scoraggiarci? Perché il Figlio non si manifesta secondo le nostre attese. Ma il Figlio ci è stato dato, ha patito ed è morto per noi, mostrandoci la grandezza dell’amore di Dio per noi. La perseveranza costante nella preghiera, senza stancarsi, è allora l’unica porta che ci fa accedere alla visione del Figlio ed al sentore del Regno. Mi piace ricordare un’antica tradizione ebraica che rileva nelle braccia alzate di Mosè in preghiera sul monte la solenne benedizione sacerdotale di Nm 6,24-27, benedizione che misticamente fa sussistere il mondo. Di quella benedizione Gesù è il compimento.

Se è così, allora il salmo 120 può essere compreso in tutta la sua profondità. Parla di ombra e di custodia: “ Il Signore è la tua ombra” (v. 5); “ Il Signore ti custodirà da ogni male” (v. 7). Da interpretare con la rivelazione delle Scritture. Il libro dell’Esodo parla dell’ombra luminosa che camminava con il popolo nel deserto; il vangelo di Luca parla dell’ombra che ha ricoperto la Vergine; il vangelo di Marco della nube sul Tabor quando Gesù si trasfigurava. Se Dio custodisce il suo popolo, è per la preghiera sacerdotale di Gesù:  prego che li custodisca dal maligno (Gv 17); l’assicura Pietro:  custoditi dalla potenza di Dio, mediante la fede, in vista della nostra salvezza (1Pt 1,5). Senza dimenticare che la custodia di Dio si esprime anche con la custodia uno dell’altro, come proditoriamente Caino confessa dopo l’assassinio del fratello Abele: ‘ sono forse io il custode di mio fratello?’ (Gn 4). Sì, essere custoditi da Dio comporta che ci si custodisca a vicenda. Si prega per non venir meno all’esperienza di tale custodia.

padre Elia Citterio