XXXI domenica del tempo ordinario

Nella narrazione di Luca, l’ultimo incontro di Gesù, prima di arrivare a Gerusalemme, è quello con Zaccheo, l’esattore delle tasse di Gerico, piccolo di statura. La gente, che fa ala al passaggio di Gesù, non gli lascia nemmeno un varco per sbirciare tanto che, se vorrà vedere che faccia abbia quel famoso maestro, dovrà correre avanti e salire su un sicomoro, un albero che può diventare molto grande ma i cui primi rami sono poco elevati.  Non poteva certo prevedere l’esito dell’incontro, ma sicuramente il suo cuore era già mosso da un’aspettativa misteriosa, che l’antifona di ingresso interpreta: “Non abbandonarmi, Signore mio Dio, da me non stare lontano;  vieni presto in mio aiuto,  Signore, mia salvezza” (Sal 37,22-23). Un uomo della sua importanza non poteva certo esporsi al ridicolo per un motivo futile. Gesù, che guarda ai cuori, sente il suo desiderio e gli si fa incontro.

Il racconto gioca appunto sulle attese dei cuori. Tutti, per motivi diversi, non riescono ancora a cogliere Gesù nella sua realtà di Salvatore. Zaccheo però vuole vedere Gesù (motivo, questo, che ricompare diverse volte nei vangeli).  Anche la folla, curiosi e simpatizzanti, vogliono vedere il Maestro ma – i loro pensieri lo rivelano! – non sanno capacitarsi del mistero di Dio che incontra l’uomo.

Quando diciamo nella colletta: “… porta a compimento ogni nostra volontà di bene…” è come se domandassimo: fa’ che il bene che operiamo si risolva nella visione di te. Desiderare il bene non comporta solo il fatto di muoversi a farlo, ma di farlo in modo tale che si riveli al nostro cuore il Volto di Dio. Fare il bene comporta sempre un incontrare il nostro Dio, che vuole la salvezza di tutti. Così, quando Gesù arriva sotto l’albero dove è salito Zaccheo e lo invita a riceverlo nella sua casa, in realtà non è Gesù che va nella casa di Zaccheo, ma Zaccheo che viene nella casa di Gesù. Avviene come per l’Eucaristia: ci avviciniamo all’altare per mangiare il Corpo del Signore, ma in realtà è lui che mangia noi, che ci assimila a sé. La decisione di Zaccheo di dare la metà dei suoi beni ai poveri e di restituire quattro volte tanto il maltolto, esprime la gioia di trovarsi ormai nella casa di Gesù, nel mistero cioè di quella fraternità che svela il Volto di Dio agli uomini. Zaccheo si comporta secondo il giudizio di Davide che commenta l’apologo del profeta Natan dopo il suo peccato con Betsabea (cfr. 2Sam 12,6: “Pagherà quattro volte il valore della pecora…”). Secondo la legge bastava restituire il doppio. Con la venuta di Gesù scatta un principio di sovrabbondanza. Si realizza per Zaccheo la preghiera dell’apostolo per i Tessalonicesi: “preghiamo continuamente per voi, perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e, con la sua potenza, porti a compimento ogni proposito di bene e l’opera della vostra fede”. Il bene che così si compie non ha più nulla di esibito, di rivendicatorio, ma procede e si risolve interamente in quella intimità ritrovata con il proprio Dio. La folla invece non è ancora entrata nella casa di Gesù, anche se lo accompagna. Zaccheo, come dice il salmo responsoriale, lascia ormai regnare Dio sulla propria vita.

Se suona vera l’espressione del libro della Sapienza: “tutto il mondo davanti a te è come polvere sulla bilancia”, allora possiamo pregare: di fronte alla visione di Te, tutto è come polvere. Se davvero “Hai compassione di tutti … chiudi gli occhi sui peccati degli uomini”, allora i nostri cuori siano così desiderosi di Te da poterci riferire a tutti in modo da non separarci dal tuo amore, da non guardare al peccato di nessuno per non essere separati dai nostri fratelli, da amare chiunque perché tutti facciano esperienza di quanto sia buono il tuo amore.

Ancora un’annotazione. Gesù dice a Zaccheo: “oggi devo fermarmi a casa tua”. Vuol dire che ogni momento della nostra storia è il momento adatto per farla diventare storia sacra, e lo diventa appena si fa strada nel cuore il desiderio di vedere Gesù. Ma vedere Gesù significa disporsi a scoprirlo come il Salvatore, come Colui che ci porta a vivere nella sua casa, nella comunione con il Padre che vuole i suoi figli con lui. Vuol dire anche che in ogni situazione, in ogni circostanza, in ogni peccato, possiamo percepire nel cuore l’eco delle parole di Gesù: “scendi subito, perché devo fermarmi a casa tua”. Nulla impedisce al Signore di invitarci nella sua casa e di sciogliere i nostri lacci per vivere finalmente una fraternità che riveli il gusto di aver incontrato il Signore. Scendere allude all’abbandonare le nostre posizioni per recarsi dove ci vuole Gesù e Gesù vuole portarci in casa nostra.

padre Elia Citterio