XIV domenica del tempo ordinario

La prima lettura ci riferisce il mandato conferito al profeta Ezechiele: egli deve annunciare la Parola di Dio al popolo diventato ribelle. La superbia impedisce agli israeliti di ascoltare parole profetiche, parole che comunicano luce e guidano sulla strada della salvezza. Nonostante ciò Dio vuole che si accorgano che egli non li abbandona, che vuole rivolgere loro la parola, che un suo profeta è ancora presente nel mondo.

Dell’esistenza di un profeta si accorgeranno quando Gesù comincerà ad insegnare nelle sinagoghe della Galilea. Ma allora sarà ancora la superbia, camuffata in vario modo, che continuerà ad impedire al popolo di accogliere e di ascoltare la Parola del Padre.

Gesù parla, e il suo insegnamento è riconosciuto sapiente, le sue azioni stupiscono tutti. Eppure, dice oggi il vangelo, proprio a Nazaret, il paese dove egli è cresciuto, quelli che lo conoscono sembra abbiano impedimento a riconoscere che parli Parola di Dio. Essi lo hanno visto lavorare con loro, essi vivono insieme ai suoi fratelli e sorelle, cioè ai membri del suo clan familiare, e conoscono bene sua madre; si ritengono perciò in dovere di non trarre conseguenze da quanto hanno visto e udito. Se quei prodigi li compisse uno sconosciuto, o un estraneo parlasse in maniera così sapiente, essi potrebbero pensare che egli sia il Messia, potrebbero credere in lui. Ma egli è conosciuto, perciò non si piegano umilmente davanti a lui per riconoscerne l’origine divina.

Gesù è meravigliato di questa “incredulità”, e soffre interiormente come si soffre quando si incontra una persona superba. Con le persone superbe non si stabilisce né confidenza né comunione. Ai superbi non si può manifestare la propria ricchezza interiore. Gesù lo sa, tanto che in altra occasione dirà che persino Dio tiene segrete le sue cose a coloro che si ritengono grandi, mentre le manifesta ai piccoli e ai semplici. Oggi egli si limita a ripetere un proverbio, la cui veridicità continua a manifestarsi: “Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”.

La superbia del cuore, molto sottile, trova molte giustificazioni per non riconoscere Gesù. L’orgoglio fa trovare molte scuse per rifiutare gli insegnamenti del Signore, benché ne riconoscano la grandezza e la sapienza! Ho udito più d’uno dichiarare ammirazione per Gesù come per un uomo molto grande, sapiente, degno, ma dei suoi insegnamenti non sa che farsene, non li vuole seguire. La superbia impedisce di incontrare Gesù, di amarlo, di seguirlo, e quindi di esserne beneficato.

La superbia è temuta anche dall’apostolo. San Paolo, scrivendo ai Corinzi, si permette di fare una confidenza personale. Egli attribuisce una malattia, che lo fa molto soffrire, all’amore di Dio per lui. Perché Dio permette che “una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi”lo faccia soffrire tanto? Perché Dio, che molte volte lo ha esaudito, non ha nemmeno ascoltato la sua ripetuta preghiera d’essere liberato da quella sofferenza per poter annunciare senza impedimento il vangelo? Ecco come egli legge questo fatto: “perché non montassi in superbia”, “perché io non vada in superbia”. L’apostolo sa che per l’uomo è facile insuperbirsi a causa dei doni di Dio, anche a causa della predicazione del Vangelo.

Se egli cadesse in superbia sarebbe preda e strumento di Satana, e non potrebbe più operare con frutto nel regno di Dio! La sofferenza della malattia lo obbliga a rimanere umile, bisognoso degli altri, a camminare fidandosi non delle proprie forze, ma solo della grazia del Signore. Sia benedetta perciò anche la malattia che ci rende umili. Se riusciamo a realizzare qualcosa di bello e di divino, non siamo stati noi, ma la grazia di Dio! Dio può far risplendere la sua bellezza, la sua grandezza, la sua potenza proprio grazie alla nostra debolezza e infermità.

Nelle letture odierne Ezechiele e Gesù ci mettono in guardia dalla superbia e Paolo ci offre un esempio pratico di vera e santa umiltà. I grandi asceti del deserto egiziano continuarono l’insegnamento di questo atteggiamento, indispensabile alla vita cristiana. Essi ci dicono che l’umiltà è come la rete che, stesa a terra, fa cadere il nostro nemico! Il nostro Nemico è superbo e non accetterà mai di abitare in un cuore umile. Noi vogliamo perciò ringraziare il Signore delle nostre debolezze, della nostra povertà, anche dei nostri difetti. È lui il Salvatore!

 

don Vigilio Covi