V domenica di Quaresima

La liturgia incastona la figura della donna adultera, perdonata, dentro una rete di allusioni della Scrittura che aiutano a comprendere cosa è avvenuto nel suo cuore. S. Agostino, commentando la finale di questo passo, che non viene riportato dalla maggioranza degli antichi codici e che non sembra conosciuto dalla tradizione patristica greca, riassume plasticamente la scena: “rimasero soltanto loro due: la misera e la misericordia”. Nello spazio di una ritrovata dignità, percepita più dal tono con cui Gesù le si rivolge che dalle parole che le rivolge: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”, può ormai avvertire quello che il profeta Isaia proclama: “Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia. Non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa” (Is 43,19). Il cap. 43 di Isaia è ricco di espressioni tenerissime dell’amore eterno di Dio per il suo popolo.  Ed è da dentro l’intimità di benevolenza con cui si è accolti che si viene guariti dentro. E sicuramente lei avrà sentito arrivare al suo cuore quello che Gesù aveva detto alla samaritana al pozzo di Giacobbe: “L’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14). Si realizzava la profezia di Zaccaria: “In quel giorno vi sarà per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme una sorgente zampillante per lavare il peccato e l’impurità” (Zc 13,1).

Quando Gesù si rivolge a lei chiamandola ‘donna’, dobbiamo ricordare che il vangelo di Giovanni riporta questa espressione altre quattro volte, due rivolte a sua madre (a Cana e sotto la croce), una alla samaritana e una alla Maddalena (nel giardino, da risorto). Quel termine pesca, quanto a tenerezza, proprio nel cap. 43 di Isaia, che la liturgia richiama.

C’è un altro particolare interessante che si trova in un codice del IX secolo quanto alla descrizione di Gesù, chino a scrivere per terra: “scriveva per terra i peccati di ciascuno di loro”. Già s. Girolamo aveva commentato: “Naturalmente parla dei peccati degli accusatori e di tutti i mortali, secondo quanto sta scritto nel profeta: ‘Quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere’ (Ger 17,13)”. Gesù attende che gli accusatori si rendano conto della impossibile posizione in cui si sono arroccati. Di fronte all’insistenza nella loro durezza di cuore, dovrà alzarsi e rivolgersi loro: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”.

Sembra che il particolare dello scrivere per terra tenda a suggerire: tutto ciò che di male abbiamo commesso, se lo mettiamo davanti al Signore Gesù, resta scritto nella polvere. Soltanto però il male riconosciuto, quello che non viene taciuto o giustificato, resta scritto nella polvere! Quello che non è riconosciuto, che si mantiene nascosto, che si annida nelle rivendicazioni irose o latenti, resta in cuore e impedisce la scoperta della benevolenza di Dio. Tutti gli accusatori della donna se ne devono andare perché, effettivamente, non sono così stupidi da immaginare di essere senza peccato. Ma essi non hanno potuto fare esperienza della benevolenza di Dio.

Gesù ridà senso al dramma del peccato. Il peccato non è una semplice trasgressione della legge né una questione personale di inclinazioni o scelte. La posta in gioco è assai più alta, ma senza l’esperienza della benevolenza perdonante del Signore non si esce dal tranello che i farisei avevano preparato a Gesù: se si pronuncia per l’assoluzione, va contro la legge; se approva la condanna, va contro l’immagine di Dio che va predicando, con la conseguenza che allora è un falso nuovo profeta, non è degno di credito. Con il peccato non è in gioco semplicemente la nostra vera o supposta rettitudine, bensì la nostra fiducia nella promessa di Dio per noi. Se l’uomo viene condannato per il suo peccato, gli si impedisce di credere alla promessa di Dio per lui; e lo stesso avviene se il peccato è banalizzato. Il peccato, riconosciuto da dentro una relazione col proprio Dio, diventa la porta della grazia, la scoperta del suo amore perdonante.

Nel rivolgersi in quel modo all’adultera, Gesù realizza la profezia di Isaia: “Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi” (Is 43,1). Gesù si presenta come il Signore che con il suo amore perdonante plasma il suo popolo, salva e attira a sé il suo popolo, lo fa vivere nella comunione con il suo Dio. Quello che generalmente non riusciamo più a percepire in questo ‘comportamento’ è l’aspettonuzialedell’amore di Dio. Dio si presenta come lo Sposo che ama la sua sposa, che cerca la sua sposa, adultera, di cui non ricorda più i tradimenti, per ricrearla come una vergine sposa. La frase di Isaia va interpretata: il popolo al quale Dio ha perdonato le colpe (=plasmato) gioirà come la sposa, amata dal suo sposo (=celebra le lodi). Così è l’anima perdonata, che torna alla dignità dell’amore come una vergine sposata dal suo amato. Tale è la potenza, toccante, dell’amore di Dio.

Lo mostra la colletta: “… perdona ogni nostra colpa e fa’ che rifiorisca nel nostro cuore il canto della gratitudine e della gioia”. Il segno dell’esperienza della benevolenza di Dio è dato dalla gratitudine e dalla gioia che costituiscono l’humus interiore del cuore che si conosce peccatore perdonato, perdonato davanti a Dio, peccatore davanti al prossimo. Non può esserci alcun titolo di pretesa nei confronti dei fratelli; anzi, come l’antica colletta domandava: “possiamo vivere e agire sempre in quella carità, che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi”.

Il canto al vangelo “Ritornate a me con tutto il cuore, perché io sono misericordioso e pietoso” parla splendidamente dell’adultera perdonata. L’espressione è del profeta Gioiele 2,12-13, ma riprende la rivelazione del nome di Dio a Mosè sul Sinai raccontata in Es 34. Mosè aveva chiesto di vedere la gloria di Dio dopo il peccato del vitello d’oro. La rivelazione del nome di Dio ‘misericordioso e pietoso’ avviene nella tempesta di sentimenti scatenata dal peccato del popolo che Dio avrebbe voluto distruggere, ma per il quale Mosè intercede trovando grazia agli occhi di Dio. Dio è Dio perché è misericordioso e pietoso, ricco nell’amore, esperienza che l’uomo realizza a fronte del suo peccato drammaticamente riconosciuto.

La logica interiore di questa esperienza è ben descritta da Paolo, nella lettera ai Filippesi:“ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. … So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro …”.  Non puoi più stare riverso sul tuo passato, ormai abbandonato alla polvere: non puoi che guardare al futuro di Dio che viene a te nella condivisione del suo desiderio di bene e di salvezza.

padre Elia Citterio