XVIII domenica del tempo ordinario

Il segno del pane che abbiamo visto nel vangelo della scorsa domenica è stato frainteso e non compreso.

La gente si mette alla ricerca di Gesù ma il verbo che Giovanni usa è un cercare che sempre contiene una connotazione di male, di qualcuno che cerca una cosa per i suoi scopi, cioè sapendo in anticipo cosa cerca e volendo trovare ciò che cerca. Quindi in fondo vuol dire non cercare mai veramente Gesù così come Lui vuole rivelarsi ed essere trovato. È usato questo termine per Maria di Magdala in Gv 20, 15 dove poi Maria vorrebbe trattenerlo ed è usato tra le altre volte in Gv 10,39 dove le autorità lo vogliono prendere per ucciderlo.

n tutto il vangelo di Giovanni questa ricerca di Cristo ha una connotazione di ambiguità, di qualcosa che non finisce bene. Perciò dice: ‘Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati” (Gv 6,26).  Cioè non cercate me per quello che avete letto che io sono attraverso questo segno ma perché volete che io ripeta i segni, vi siete saziati e volete continuare a farlo.  Cristo ha compiuto il segno affinchè loro potessero cominciare a comprendere che la vera vita nasce in relazione a Lui ma loro continuano a leggerlo solo all’interno dell’orizzonte dei bisogni della natura umana.

Cristo viene incontro all’uomo cercando di farsi comprendere come cibo, come vita, come nutrimento e noi lo cerchiamo per l’utilità sociale, politica, economica, culturale e non ultimo religiosa, espressa in questa sete del sacro e di soddisfare un sentimento religioso che lo riduce a un oggetto di culto. Da una realtà vitale, personale e comunionale  diventa una cosa esterna davanti a noi. E perciò non può cambiare la vita, non può divenire comunione, non può trasfigurare le relazioni.

Dice: “Io sono il pane della vita” (Gv 6,35), e questa èzoé, la vita filiale, la vita divina, nonbiosche è la vita della carne. Il passaggio dall’esterno all’interno è molto complicato perché anche volendo orientarsi a Dio si vede che non lo si può fare da soli, infatti per essere figli bisogna che qualcuno ti generi. A Nicodemo Cristo dice che bisogna rinascere dall’alto (cf Gv 3,5).

In qualche modo sembra che Cristo stesso li tenti con quel “Datevi da fare” (Gv 6,27). Usa il verbo “ergazo”che ha la stessa radice diergon, opera, lavoro,  che potrebbe sottendere un qualcosa da fare che spetti a loro ma nell’Antico Testamento è un termine che appartiene a Dio solo e che è sempre in relazione alla sua opera nel creato, tranne in Es 19,8 e Es 32,16 dove si dice che dobbiamo compiere l’opera di Dio che sono le tavole della legge. Perciò quando chiedono quale opera di Dio dobbiamo fare e cosa dobbiamo compiere per fare l’opera di Dio evidenziano la mentalità di chi si aspetta semplicemente una nuova legge, o almeno nuove cose da fare che loro possano compiere.

La differenza è grossa, Cristo li ha indotti su questa strada per far capire che non è più la questione esterna di compiere qualcosa, ma è Lui che è la vita filiale, è Lui che è il nutrimento di questa vita e che questa è l’opera di Dio, tanto è vero che alla fine si comincia già ad intravedere che “nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato” (Gv 6,44) e che “nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6).

È un passaggio decisivo, non è più che uno si avvicinerà a Dio perché compirà qualcosa, ma è Dio che in Cristo si è avvicinato tanto da rendersi vita degli uomini e nutrimento per quella vita, affinché quella vita possa essere veramente dinamica, attiva e muovere tutto l’uomo sempre più integralmente verso la paternità, verso la vita del Figlio, conoscendo il Padre. È questo il nutrimento.

Il punto sta esattamente nello spostare una religione esterna ad una vita che viene donata e accolta e che è una vita filiale, comunionale, che l’uomo non può creare con nessuna cosa e che non può essere sostituita con un culto, con un oggetto di culto, ma è il succo stesso della vita, al suo interno. Nessun approccio astratto, ideologico oppure moralistico arriva al cuore della questione spirituale. Tutto ciò che è la mentalità secondo gli orizzonti della natura non riesce mai a cogliere la totalità della persona. Solo ciò che per mezzo dello Spirito Santo si dischiude all’uomo in relazione a Cristo che è il Figlio, solo lì si coglie il mistero di tutta la persona la quale si nutre dell’umanità vissuta dal Figlio di Dio che è Cristo. Tutti i bisogni che noi possiamo sentire a partire dalla nostra realtà umana trovano il nutrimento giusto in questa vita filiale che Cristo ci offre. Se invece cerchiamo di rispondere a questi bisogni a partire da noi stessi, anche se in nome di pratiche religiose e di ragionamenti ben confezionati, si rimane sulle proprie orme e pur credendo di cercare Gesù non si esce da se stessi e non si accoglie ciò che veramente nutre l’uomo perché lo apre. Perché il nutrimento stesso è l’accoglienza di questa vita nel Figlio.

 

P. Marko Ivan Rupnik