Un libro a settimana: La dottrina spirituale di Louis Lallemant

Secondo principio: La Perfezione

Parte Prima: La perfezione in generale

Capitolo 01: Il primo atto di un’anima che tende alla perfezione

Art. 01: In ogni cosa si deve cercare Dio solo

§ 1. Per bene cercare Dio, ce lo dobbiamo rappresentare dapprima come l’autore della natura e della grazia, poi come il conservatore di tutti gli esseri e da ultimo come il padrone sovrano che tutto governa e dispone con la sua Provvidenza. Perciò dobbiamo riguardare tutti gli avvenimenti, anche i più insignificanti, come voluti da Dio a Lui graditi.

Cercare Dio è non volere e non desiderare se non quanto Egli vuole e dispone con la sua Provvidenza. Relativamente a noi, in Dio dobbiamo considerare due atti. L’uno, con cui vuole concederci queste e quelle grazie per condurci ad un certo grado di gloria, se però noi corrispondiamo a Lui con fedeltà. L’altro, con il quale Egli non vuole concederci ulteriori grazie e neppure elevarci ad un più alto grado di gloria. Pochi hanno coraggio e tanta fedeltà da corrispondere ai disegni di Dio ed arrivare con la loro cooperazione a quel punto di grazia e di gloria che Dio desidera. Dobbiamo aver tanta stima, tanto amore e sottomissione ai voleri di Dio, ai suoi giudizi, agli ordini della sua Provvidenza da non desiderare grazia né gloria maggiore di quella di cui Egli vuol farci dono, quand’anche fosse in nostro potere di averne quanta ne vorremmo.

Dobbiamo contentarci in questi limiti a causa dell’infinito rispetto che si deve nutrire per le disposizioni della Provvidenza divina

§ 2. Una seconda eccellente maniera di cercare Dio è quella di non cercare in ogni cosa altro fine che la gloria di Dio.

Nel campo degli studi questa massima ci suggerisce di non bramare di sapere se non ciò che tende al maggior servizio di Dio. Il demonio ha una scienza incomparabilmente superiore alla nostra; di fronte a lui però noi godiamo del vantaggio di poter indirizzare la nostra scienza alla maggior gloria di Dio; il che il demonio non può fare.

La stessa massima può applicarsi a tutte le nostre occupazioni ed, in generale, ad ogni cosa. Dobbiamo essere talmente staccati da noi stessi, dagli interessi, dai gusti, dalle inclinazioni, dai nostri progetti particolari, da trovarci disposti alla rinucia di tutto per il servizio di Dio, e per il conseguimento di quanto può essere di aiuto a cercare e a trovare Dio: poiché nulla è desiderabile in se stesso, se non Dio, e tutto il resto non è desiderabile che in rapporto a Dio. Di modo che applicarci è compiacerci nella ricerca di quanto non conduce al Signore è errore ed illusione.

Quando ci scostiamo da questa regola, preferendo ciò che ci torna più comodo a ciò che riesce di maggior gloria per Dio, agiamo come un re che vendesse il suo dominio per un bicchiere di acqua; del che non vi può essere pazzia peggiore, perché all’infuori degli interessi divini, tutto quaggiù non è che vanità e menzogna. Da ciò consegue che ogni giorno noi facciamo immense perdite; perdiamo infatti tanta gloria per noi quanta, potendolo, avremmo dovuto procurare a Dio.

§ 3. C’è un terzo modo di cercare Dio, che è difficile da comprendersi se non è messo in pratica. Consiste nel ricercare non solo la sua volontà e la sua gloria, non solo i suoi doni e le sue grazie, non solo le sue consolazioni ed il gusto della devozione, ma nel ricercare Lui stesso, nel riposare in Lui solo, nel non gustare che Lui. In altre parole, se ci affezioniamo alle sue grazie e alle dolcezze sensibili, ci esponiamo a gravi periocoli e non arriveremo mai alla mèta a cui tendiamo. Ma quando cerchiamo unicamente Dio, allora ci troviamo sopra tutte le cose create e consideriamo come un nulla i trionfi, le grandezze dell’universo, perfino mille mondi; insomma tutto ciò che non è Dio.

La nostra massima cura e il continuo nostro impegno devono essere nel cercare Dio in questa maniera e finché non l’abbiamo trovato, non dobbiamo consacrarci alle attività esteriori a servizio del nostro prossimo, se non trattandosi di prime prove, se non per via di esperimento. Dobbiamo essere come quei cani da caccia, ai quali si allenta alquanto il guinzaglio. Soltanto quando saremo giunti al possesso di Dio potremo concedere una maggiore libertà al nostro zelo ed allora, in un sol giorno, guadagneremo di più che non prima, in dieci anni.

§ 4. Quando un’anima ama soltanto Dio e non cerca che Lui, quando essa è così unita a Dio che non gusta che Lui e non trova riposo che in Lui solo, nulla può esserle causa di sofferenza. Ecco la ragione per cui i Santi, quando venivano perseguitati dagli uomini e vessati dai demoni, tenevano tutto ciò in nessun conto. Ricevevano i colpi dall’esterno, mentre l’interno rimaneva nella pace.

Finché non raggiungeremo questo felice stato, saremo sempre miserabili. Anche se ornato di gioie e di pietre preziose, un corpo non vivificato da un’anima, rimane preda della corruzione, è un cadavere totalmente infetto. Così nulla potrà impedire ad un’anima di essere infelice quando non possiede Dio, anche se è ornata di tutte le prerogative che essa può ambire.

Il mezzo migliore di superare le seduzione delle creature, quando ci presentano i loro allettamenti nelle tentazioni, è di rifugiarci subito in Dio, gustare Dio con qualche pensiero di pietà, invece di perdere tempo per combattere e disputare contro le lusinghe della tentazione: il che è certamente più molesto e pericoloso. La medesima linea di condotta va seguita anche nel primo incontro con le pene, con gli ostacoli, con le avversità.

La nostra sollecitudine dev’essere cercare Dio e la nostra mira riempirci di Lui. A ciò arriveremo dopo una completa purificazione dai nostri peccati. Intanto però dobbiamo sempre tendere, servendoci delle creature come di mezzi a questo fine, senza legare ad esse il nostro cuore.

§ 5. È per noi un male assai grande il poter trovare soddisfazioni nelle creature, riguardo alle quali dovremmo coltivare solo disprezzo e distacco. Infatti facciamo gran caso di un impiego appariscente o comodo. Brighiamo per raggiungerlo, ed una volta arrivati, ci sentiamo contenti. Un nonnulla basta per accontentarci, come se Dio non fosse la nostra felicità. Invece non dobbiam stare troppo legati né avere unsoverchio attaccamento, neppure ai doni soprannaturali di Dio. È Lui solo che bisogna cercare; è in Lui solo che possiamo trovare la nostra quiete. Dio eccettuato, ogni essere non è che un nulla. Dio è il mio retaggio in eterno (Sal 62,26).

Il nostro Direttore, [aggiunge il P. Rigoleuc], non ci raccomanda nulla con tanta insistenza quanto di cercare in tutto esclusivamente Dio, senza indugiarci in nessuna cosa fuori di Lui, neppure nei suoi doni.

Art. 02: Necessità di consacrarsi interamente a Dio

§ 1. Grande vantaggio per la perfezione è il servire Dio con animo generoso, con cuor largo e senza riserva. Paragonando la vita di un tiepido con quella di un fervoroso, facendo il computo dei loro giorni lieti e tristi, scopriremo che il primo avrà vissuto più ore infelici del secondo.

§ 2. Pensate a due anime religiose: l’una che, consacratasi dagli inizi a Dio, si è proposta di non risparmiarsi nulla per la sua santificazione; l’altra che avanza a passi lenti, senza avere il coraggio di superare se non la metà degli ostacoli incontrati. Mettete a confronto la vita, tutta intera s’intende e non soltanto una parte, di quella e di questa e scorprirete che il tiepido ha avuto da inquietarsi di più del fervoroso: Non c’è afflizione ed infelicità nella loro condotta, dice il Profeta, parlando dei deboli, che non sanno consacrarsi con generosità a Dio. Rimane sconosciuta ad essi la via della pace (Sal 62,26).

La parola «via», in questa citazione, significa la disposizione interiore di chi, resistendo a Dio, non ha nel suo intento che afflizioni ed angustie di spirito. Egli non è contento che apparentemente ed alla superficie del suo spirito anziché nell’intimo del cuore, dove i fervorosi gustano la pace, parola che in ebraico indica l’abbondanza di ogni bene.

Del resto è una spregevole infedeltà l’accontentarsi di una limitata perfezione che possiamo aver acquistato, essendo noi chiamati ad uno stato, in cui ci è possibile sperare tutto da Dio, se corrispondiamo fedelmente alla grazia della nostra vocazione.

§ 3. Noi rimaniamo anni interi, e talvolta anche tutta la vita, indecisi se consacrarci interamente a Dio. Non possiamo indurci a fare il sacrificio completo. Ci riserviamo affetti, progetti, desideri, speranze, pretese, di cui non ci vogliamo spogliare per non trovarci nel più completo distacco di spirito, che è il requisito indispensabile per essere pienamente posseduti da Dio.

Sono questi altrettanti lacci con cui il nemico ci tiene legati per impedirci di avanzare nella perfezione. Nell’ora della morte riconosceremo l’inganno e vedremo che, come fanciulli, ci saremo lasciati illudere da bazzecole.

Per anni interi combattiamo contro Dio e opponiamo resistenza agli impulsi della sua grazia, che ci spingono interiormente a lasciare una parte delle nostre miserie, abbandonando i vani diletti che ci sono di impedimento per consacrarci a Lui senza riserva e indugio. Ma sotto la tirannia dell’amor proprio, resi ciechi dalla nostra ignoranza, trattenuti da fallaci timori, non abbiamo l’ardire di superare il varco e, per paura di essere infelici, restiamo davvero miseri per sempre, invece di consacrarci pienamente a Dio, che ci vuol possedere soltanto per liberarci dalle nostre miserie.

Dobbiamo dunque una buona volta rinunciare ad ogni nostro interesse ad ogni soddisfazione, ai progetti ed ai nostri voleri, per non dipendere più, d’ora innanzi, che dal beneplacito di Dio e per affidarci pienamente a Lui.

Art. 03: L’astuzia e la finzione allontanano da Dio

Lo Spirito Santo che è il maestro della sapienza, fugge la finzione (Sap 1,5), dice la Santa Scrittura. Non faremo mai progressi, se non avanzando nella sincerità davanti a Dio e davanti agli uomini.

§ 1. Gli uomini sono infinitamente ripieni di menzogna. Ci nascondiamo a noi stessi ed agli altri,rifugiandoci incessantemente sotto false apparenze. È questo un difetto che tentiamo di riconoscere meno degli altri. Non dovremmo mai ricorrere né a scuse né a palliativi in cosa alcuna. Simili doppiezze ed artifici dell’amor proprio allontano sommamente dal Signore.

§ 2. Un’anima ammaliziata e che nei rapporti col prossimo si serve dell’astuzia e della scaltrezza non formula quasi mai alcun progetto, non accoglie in sé nessun pensiero che non sia peccato, poiché le sue mire ad altro non tendono che ad ingannare il prossimo. Una tale condotta è una continua menzogna. Essa è in un’opposizione ininterrotta con Dio e sembra implicitamente negare il provvido governo del Signore sui

cuori.

§ 3. Non dobbiamo usare mai scaltrezza od astuzia quando trattiamo coi Superiori nelle disposizioni riguardanti gli uffici a noi destinati e neppure in altra materia od occasione: perché tutto ciò è prudenza della carne, riprovata da Nostro Signore. La prudenza della carne è morte. La sapienza dello Spirito è vita e pace (Rm 8,6).

tratto da “La dottrina spirituale” di Louis Lallemant