III domenica del tempo ordinario

Nazaret da parte di Gesù nella narrazione di Luca in sinossi con quella di Matteo cogliamo meglio il suo mistero. Luca colloca l’episodio all’inizio del ministero di Gesù, senza tener conto delle contraddizioni del racconto nel senso che fa riferimento a eventi narrati solo in seguito. Secondo Luca, l’episodio prefigura il rifiuto che incontrerà Gesù da parte delle autorità religiose del suo popolo e la predicazione della salvezza ai pagani. Fin dall’inizio è come se volesse anticipare quello che avverrà alla fine. Mentre in Matteo l’episodio fa da contrasto tra i familiari di Gesù e i suoi discepoli. Lo colloca a conclusione delle sette parabole del regno, introdotte a loro volta dall’accoglienza dei discepoli come i nuovi familiari di Gesù: “Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre” (Mt 12,50). L’episodio di Nazaret sancisce la ‘nuova famiglia’ di Gesù, la comunità di vita con i suoi discepoli, definiti con la beatitudine di non trovare in lui motivo di scandalo (cfr. Mt 13,57).

Nel racconto di Luca Gesù, dopo il battesimo al Giordano, pieno di Spirito Santo, viene sospinto nel deserto per esservi tentato e ritorna in Galilea con la potenza dello Spirito. Gesù si presenta come colui che, avendo vinto il maligno, avendo cioè accettato di condursi come Messia secondo i segreti di Dio, può applicarsi la profezia di Isaia che esprimeva tutta la benevolenza di Dio per il popolo. Gesù si presenta come l’Inviato, capace di dare compimento alle promesse di Dio. Quello che forse non cogliamo più della manifestazione di questa autocoscienza di Gesù è il suo carattere dinamico. L’invio non rimanda semplicemente all’opera per la quale è mandato, ma all’intimità che vive con il Padre nel mostrare, con le parole e l’agire, il suo grande amore agli uomini. In effetti, l’aspetto più suggestivo del racconto di Luca sta nel fatto di collegare questo annuncio all’esito finale, al rifiuto che il Messia subirà ma perché venga esaltata la benevolenza di Dio per gli uomini. In quel rifiuto si potrà scoprire tutta la ‘potenza’ dello Spirito che lo abita nel senso di tenere unita la sua intimità con il Padre e l’amore verso i suoi figli, ai quali si presenta come il Testimone del suo amore per loro.

La profezia messianica di Isaia 61, che parla di poveri, di prigionieri/oppressi, di ciechi, allude alledeficienzedel nostro vivere che Gesù è venuto a redimere: a) la nostra vita è mancante, soffre di limiti; b) viviamo sotto l’oppressione di una schiavitù imposta o procurata, subita o provocata; c) camminiamo all’oscuro, non distinguiamo bene nulla. Gesù si presenta, dalla parte di Dio, capace di rinnovare la letizia, di offrire la libertà e di suggerire un senso. Sono le coordinate di un vivere felicemente la propria vocazione umana, in comunione con Dio. La felicità, come la vita stessa di Gesù mostrerà, èdire bene Diocon la premura della cura dell’uomo fino a dare la nostra vita perché la vita dell’altro cresca. Ma come vivere questa felicità paradossale senza la rivelazione del volto di Dio che si fa conoscere comecura per l’uomo? Per questo Origene annota come sia da invidiarsi l’assemblea che tutta intera, alla lettura della parola di Dio, tiene gli sguardi fissi su Gesù!

La prima lettura, tratta dal libro di Neemia, sottolinea un aspetto assolutamente caratterizzante dell’assemblea liturgica. Gli ebrei erano appena ritornati dall’esilio di Babilonia, avevano ricominciato a costruire il tempio e le mura di Gerusalemme, ma la vita si prospettava piena di insidie sia sociali che religiose. Il popolo viene ricompattato con la proclamazione del libro della legge, la lettura del quale suscita un’emozione grandissima. Il popolo piange, si rattrista, si accorge di quanto sia stato infedele al suo Dio. Come era successo al re Giosia: “Udite le parole del libro della legge, il re si stracciò le vesti” (2Re 22,11); come succederà alla gente che aveva ascoltato il discorso di Pietro a Pentecoste: “all’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore” (At 2,37).; come ripeterà la beatitudine: “Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati” (Mt 5,4). La traduzione di Chouraqui, sul calco ebraico, fa cogliere più direttamente l’evento dell’ascolto della parola nell’assemblea liturgica. “I leviti leggevano il libro della legge di Dio” (Ne 8,8) e Chouraqui traduce: ‘gridano l’atto della tora’, dove il termine ‘libro’ è reso con ‘atto’, ad indicare l’attualità, la realtà, la contemporaneità di quella parola che da sempre è pronunciata e da sempre porta salvezza.

Corrisponde all’ “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (Lc 4,21). L’oggiè l’ora, qui, adesso, mentre ascoltiamo. Potessimo dire anche noi, in ogni circostanza, in ogni luogo, e non solo nell’assemblea liturgica, come discepoli di Gesù, quello che lui ha proclamato nella sinagoga di Nazaret: “Oggi si è compiuta questa Scrittura” (Lc 4,21). Intendendo: accogliendo lui, con la sua parola di verità e di vita, ogni circostanza si apre al compimento della sua volontà di benevolenza e in qualche maniera, per noi e tramite noi, possa compiersi nella nostra vita la profezia di Isaia: essere segno di speranza per i nostri fratelli. Per questo Esdra e Neemia invitano alla gioia perché la parola di Dio proclamata, spiegata, vissuta e condivisa nella sua potenza di letizia, pur nel dramma della vita, rende solidali gli uomini, non avendo più nulla da rivendicare in senso egoistico.

La gioia, dono messianico per eccellenza, nella sua drammaticità perché è gioia nel pianto, cela un’energia potente, diventa la forza che il salmo 18 (19) descrive se leggiamo le espressioni in significato intensivo:la legge del Signore è perfetta, cioè rende integri e perciò rinfranca l’anima;la testimonianza del Signore è stabile, cioè rende veritieri e ti fa partecipe della sapienza dall’alto;i precetti del Signore sono retti, cioè rendono integri e gioiosi;il comando del Signore è limpido, cioè rende l’uomo luminoso, dallo sguardo pulito e bello. Potremmo anche interpretare sinteticamente: la giustizia del Signore, il contenuto cioè della parola di Dio, è quella di portare gioia al cuore e questa gioia è quella che consente al nostro cuore di vivere secondo la sua giustizia, cioè di manifestare la sua presenza con il prenderci cura di ognuno fino a dare la vita perché l’altro possa averla abbondante. Solo il Messia poteva rivelare che consisteva in questo la manifestazione del Signore e che in questo risiedeva e il compimento del desiderio dell’uomo e la felicità di Dio, quello che san Paolo descrive come la realtà dell’essere un corpo solo in Cristo. Non c’è nulla di più affascinante di tale mistero e nello stesso tempo nulla di più salutarmente rischioso nella vita degli uomini.

padre Elia Citterio