VII domenica del tempo ordinario

Gesù continua a parlare ai suoi discepoli illustrando la potenza e l’estensione della dinamica che l’incontro con lui ha messo in moto. Fa vedere la qualità di vita per coloro che possono godere della beatitudine loro promessa perché ‘ascoltano’, non semplicemente odono, ma lasciano entrare in cuore le parole ascoltate aderendovi. S. Paolo, nella lettera ai Romani, ripresenta le parole di Gesù come il sigillo di autenticità dei discepoli (cfr. Rm 12,14-21).“Amate i vostri nemici … fate del bene a coloro che vi odiano …”. Le parole sono chiare, anche se in questo brano c’è un problema di traduzione. Così come lo leggiamo nel testo italiano qualcosa ci sfugge e qualcosa di essenziale. Rilevo alcuni particolari.

L’espressione ‘fate del bene a coloro che vi odiano’ suonerebbe piuttosto ‘agite in modo che risplenda il bene per coloro che vi odiano’, dove ‘bene’ non è complemento oggetto ma avverbio.

Benedite coloro che vi maledicono’ andrebbe più semplicemente resa con ‘dite bene di quanti vi maledicono’, per non perdere questa sfumatura di senso: portate in pace la maledizione che vi viene dagli uomini senza scadere nella vendetta delle parole, mantenete il cuore nella pace senza corromperlo con la rabbia di parole insolenti, non ricambiate con parole amare chi vi amareggia, con parole irose chi vi ferisce, né in voi stessi né in presenza d’altri, custodendo l’onore per la persona che l’ha calpestato.

E ancora: ‘pregate per coloro che vi maltrattano’ andrebbe reso: ‘pregate per coloro che vi calunniano’ (come l’antica versione latina riportava:orate pro calumniantibus vos) ad indicare la risposta al male più subdolo che produce tristezza. È l’ultima tentazione contro la carità: si può sopportare l’attacco diretto del nemico, si può tacere di fronte a chi ti insulta, ma resistere alla tristezza che ti invade quando sei calunniato per malevolenza e invidia (questo è infatti il significato del verbo greco usato da Luca) sembra sovrumano; allora, solo la preghiera sincera può salvare il tuo cuore.

L’espressione però caratteristica dell’intero brano è un’altra: ‘Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta?’(La versione precedente portava:che merito ne avrete?) La rivelazione che comporta la frase sulle labbra di Gesù allude alla radice dell’agire di un cuore. Potremmo rendere: ‘se amate quelli che vi amano, quale grazia avete?’ oppure ‘…qual è la vostra grazia?’ (come sottolinea l’antica versione latina, fedele al testo greco: ‘quae vobis est gratia?’). L’espressione è ripetuta tre volte nel testo e costituisce la discriminante tra il discepolo di Cristo e il pagano. Ma la discriminante di che cosa? Questo è il punto. Ed è l’interrogativo di fondo di tutto il brano: quale grazia risplende nel vostro agire? Grazia rivela un tipo di esperienza, quella che procede dalla beatitudine promessa da Gesù e che il discepolo condivide con Lui. Quella di chi, incontrando l’Inviato di Dio, riconoscendo in lui la prossimità di Dio per l’uomo, ne è rimasto folgorato, come dirà Giovanni: “Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi –, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo” (1 Gv 1,1-4). È l’esperienza, in Gesù Salvatore, della benevolenza di Dio per l’uomo, della gratuità del perdono ricevuto, della dignità ritrovata per l’amore che ci ha rifatti da dentro. Esperienza che ha segnato così alla radice il nostro cuore da non poter più vivere se non nella sua dinamica. Ma così vivendo non si fa che condividere la stessa vita del Figlio di Dio, rivelatore del Padre ricco in misericordia. È da dentro quell’esperienza che scaturisce l’energia di un amore che non si lascia limitare o soffocare da niente e da nessuno. E quando quell’amore risplende non si può non domandare: “quale grazia rivela? Di quale grazia è l’espressione?”. Le situazioni limite addotte da Gesù (amare i nemici, benedire chi ti maledice, pregare per chi ti maltratta…) rivelano la ‘normalità’ di un cuore ormai conquistato alla dinamica divina e per questo significative del discepolo di Cristo.

La firma solenne del brano è l’affermazione che suona assoluta come criterio di discernimento del bene: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”. Siate figli dell’Altissimo: è l’esortazione di Gesù! Perché questo siete! È l’invito a non barattare in nessuna maniera e per niente al mondo la dignità del proprio essere figli di Dio. Gli esempi che riporta sul non giudicare, non condannare, sul perdonare, è a quella dignità che Gesù li collega. E per dare il senso della estensione di questo invito conclude: “con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio”. Gli aggettivi ‘pigiata, colma e traboccante’alludono alla misura di capacità quando il recipiente, riempito fino all’orlo, è schiacciato e scosso per farcene stare ancora un po’ e aggiungerne fino a ottenere un piccolo colmo in superficie. Il bene non sia misurato da nulla se non dall’infinità di Dio che dà gratuitamente senza condizioni previe.

Interessante la giustificazione spirituale che Davide porta davanti a Saul per non averlo ucciso pur avendo Dio messolo nelle sue mani: “Ed ecco, come è stata preziosa oggi la tua vita ai miei occhi, così sia preziosa la mia vita agli occhi del Signore ed egli mi liberi da ogni angustia” (1Sam 26,24). È sempre la stessa dinamica: nessuna cosa, oggetto o affetto, sia motivo di divisione e di tristezza con i nostri fratelli perché su tutto prevalga l’amore che il Signore ci ha fatto conoscere in Cristo Gesù. La misura è quella di non avere misura nell’abbondanza del bene. Allora la richiesta insistente a Dio, nella preghiera della chiesa, non è tanto quella di avere un cuore generoso, di avere un amore per tutti, ma piuttosto quella che il Suo Volto si riveli al nostro cuore per essere attratti a vivere nello splendore di quell’amore che ci ha toccati e che non ha misura. 

P. Elia Citterio