XXIII domenica del tempo ordinario

Le parole di Gesù suonano così perentorie da incutere timore: “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo … Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”. Non sono parole dette in astratto, ma rivolte proprio a chi era rimasto affascinato da Gesù e lo seguiva. È come se Gesù volesse ribadire: non crediate di ottenere vantaggi venendomi dietro. La posta in gioco è assai più alta.

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XXII domenica del tempo ordinario

Domenica scorsa Gesù terminava il suo insegnamento raccomandando di arricchire davanti a Dio. A noi è rimasto l’interrogativo: come si fa? Quali sono le “ ricchezze” valide “ davanti a Dio”? Forse oggi riusciamo a cogliere la risposta dalla bocca stessa di Gesù. Il nostro cuore e la nostra mente vengono preparati dalle parole del Siracide. Questi fa l’elogio dell’umiltà e della modestia, atteggiamenti che favoriscono la capacità di ascolto, accrescono la propensione alla meditazione, fonte di saggezza; dalla saggezza poi scaturisce la generosità verso i poveri.

Ora ascoltiamo Gesù, che accoglie un invito a pranzo. Colui che invita è uno dei capi farisei. Noi sappiamo che queste persone tanto religiose non sono propense a prendere sul serio il Signore. Lo chiamano “ maestro”, ma cercano occasioni per spiarlo e trovare nelle sue parole appigli per pensare e parlare male di lui rendendogli ostile la gente. Gesù accetta ugualmente l’invito: chissà, forse qualcuno fa tesoro della sua presenza e delle sue parole. Oggi noi vogliamo essere tra questi.

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XXI domenica del tempo ordinario

Sembra ci sia una contraddizione tra la visione del profeta Isaia e l’avvertimento di Gesù. La salvezza è estesa a tutti, ma non tutti ci entrano; anzi, pochi l’afferrano. Il profeta lascia ai credenti la visione finale del pellegrinaggio escatologico di tutti i popoli a Gerusalemme. Con loro torna anche il popolo di Dio disperso nella diaspora. E – cosa straordinaria! – Dio sceglierà i sacerdoti per il culto non solo tra gli ebrei senza il requisito della discendenza levitica o sadocita, ma anche tra gli stranieri convertiti. Gesù, invece, nel brano che è stato proclamato, all’inutile domanda se siano pochi o tanti quelli che si salvano, risponde indicando la condizione che permette la salvezza: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno” (Lc 13,24).  Se la salvezza è estesa a tutti, perché Gesù mette in guardia?

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XX domenica del tempo ordinario

Il punto focale della liturgia di oggi è costituito dalla rivelazione di Gesù: “ Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!” (Lc 12,49-50). Nei vangeli sono rari i momenti in cui Gesù apre il suo cuore mostrando il suo vissuto interiore. Con queste parole fa vedere cosa lui vive dentro. È come consumato da un fuoco interiore, dal fuoco di quello Spirito di cui era stato mostrato ricolmo al momento del battesimo nel Giordano e in forza del quale si era avviato risoluto a compiere fino in fondo la missione di rivelatore e testimone supremo dell’amore del Padre agli uomini. Lui sa che quel fuoco lo porterà ad un altro battesimo, quello della sua passione-morte-risurrezione, battesimo che otterrà a tutti noi il dono del suo stesso Spirito.

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Assunzione della Beata Vergine Maria

In un inno anonimo del VII secolo, la prima esclamazione degli angeli nei riguardi della Vergine suona: “Ave, nutrimento della gioia degli uomini”, mentre gli antichi testi agiografici parlano della Vergine in rapporto ai fedeli come della Regina, della Madre del Signore, della loro sorella. La liturgia bizantina sottolinea il parallelo tra il parto verginale e l’assunzione gloriosa in questi termini: “Nel parto, hai conservato la verginità, con la tua dormizione non hai abbandonato il mondo, o Madre-di-Dio. Sei passata alla vita, tu che sei Madre della vita e con la tua intercessione riscatti dalla morte le anime nostre”.

La festa di oggi modula la devozione alla Vergine su due registri: la gioia come radice di speranza per l’umanità e la sua intercessione universale. Nella sua lettera ai Corinzi Paolo ricorda il dato della fede nella risurrezione. E tratteggia tutto il corso della storia fino alla fine del mondo nel senso di una rivelazione progressiva, anche se misteriosa e drammatica, della signoria di Cristo che prevarrà su tutto. Noi siamo nel tempo della sottomissione a Cristo di tutti i nemici di Dio, morte compresa. Il regno di Cristo coincide con la riduzione a nulla di ogni potere della morte. La cosa va vista nel suo succedersi temporale in ciascuno di noi oltre che nella storia. Tutta l’ascesi e la lotta interiore non sono altro che l’espressione di questo potere di Cristo che riduce a nulla il potere della morte che ci assilla e ci impasta. E man mano che questo potere di Cristo prevale, la vita sgorga fluente e incontenibile.

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XIX domenica del tempo ordinario

Il brano evangelico di oggi illustra il mistero della grandezza divina del servizio, rivelazione tipicamente evangelica: “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli”. Ecco l’immagine di fondo che l’uomo non avrebbe potuto inventarsi e che riassume invece il senso della persona e dell’agire di Gesù: Dio si mette a servizio e in servizio degli uomini!

L’esortazione alla vigilanza, con le parabole che la illustrano, dice assai più di quello che saremmo portati a credere. I beni sono precari, e anche la vita è precaria. Stare vigili significa allora non perdere la coscienza di quella precarietà? Oppure, ancora, significa aspettare con timore l’arrivo del padrone, che comunque verrà e che dovrà ricompensare o castigare i suoi servi a seconda di come si sono comportati? Non c’è nulla di evangelico in questo tipo di vigilanza.

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XVIII domenica del tempo ordinario

Il brano evangelico di oggi assomma la precarietà dei beni e la fugacità del tempo, a sottolineare la condizione dell’uomo su questa terra. Come comportarsi? Sembra questa la domanda di fondo rispetto a quelle evidenze. Ma il cap. 12 di Luca incastona la domanda su un’altra evidenza, non però così evidente: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno” (Lc 12,32). Quell’evidenza è racchiusa, all’inizio e alla fine del capitolo, da due messe in guardia contro l’ipocrisia: “Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia” (v. 1) e “Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo?” (v.56).

L’ipocrisia, che insidia segretamente il nostro sentire e agire, viene svelata dalla risposta di Gesù all’uomo che gli chiedeva di usare la sua autorità per ottenere giustizia in una questione di eredità. L’ipocrisia nasce dall’avidità che corrode i cuori impedendo di cogliere proprio il dono del Regno. Si vorrebbe aderire all’insegnamento di Gesù perseguendo il proprio interesse, pur lecito, ma senza distogliere il cuore da quella ricerca dei beni che alla fine distoglie da una vera adesione.  Così la richiesta di giustizia è ambigua se è intaccata da quella che il vangelo chiama ‘avidità, cupidigia, bramosia’, senza che nemmeno il cuore se ne accorga. Il ragionamento di Gesù, con la sua parabola, è affidato, non all’idea della precarietà dei beni, che oggi ci sono e domani si perdono, ma alla inesorabilità del tempo che ti sorprende men che te l’aspetti.

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XVII domenica del tempo ordinario

Oggi la liturgia ci introduce al mistero della preghiera. Ascoltando il brano evangelico viene da domandare: cosa hanno visto i discepoli mentre Gesù pregava? Cosa li ha affascinati tanto da indurli a chiedere a Gesù di insegnare loro a pregare? Nella sua risposta Gesù apre come una finestra sul suo mondo interiore. Se Gesù insegna il Padre nostro, vuol dire che ciò che rendeva singolare la sua preghiera era l’intensità di intimità con quel Padre di cui custodiva i comandamenti, di cui annunciava la prossimità, di cui svelava il volto, di cui mostrava la verità nell’amore all’uomo e di cui suscitava la nostalgia in questo mondo.

È lo stesso Padre, a cui si era rivolto Abramo nella sua preghiera di intercessione, preghiera che era scaturita dalla rivelazione che il Signore si apprestava a fargli : “Devo io tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare, mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra?”, secondo la proclamazione del salmo: “Il Signore si confida con chi lo teme: gli fa conoscere la sua alleanza” (Sal 25,14), che nel testo ebraico suona: “Il segreto (o l’intimità) del Signore è per quanti lo temono”. Abramo, che si sente polvere e cenere, può parlare al suo Signore da dentro l’alleanza che gli è stata offerta e alla quale ha aperto il suo cuore in tutta fiducia.

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XVI domenica del tempo ordinario

Abramo accolse tre uomini  sotto l’albero. Offrì loro la possibilità di rinfrescarsi i piedi, preparò pane latte e carne per la loro fame. Alla fine s’accorse d’aver accolto Dio stesso, il suo Dio, che volle premiare la sua ospitalità oltre ogni aspettativa: gli preannunziò la nascita del figlio, senza tener conto dell’età sua e di quella della moglie Sara.

Di ospitalità parla pure il Vangelo. Marta e Maria accolgono Gesù con i discepoli durante il loro viaggio. Sono saliti da Gerico e stanno arrivando a Gerusalemme. Stanno pure continuando un viaggio interiore, un cammino, cui li obbligano le parole e la decisione del Maestro. Egli si è appena rivolto a loro con la parabola del buon Samaritano. Attraverso di essa egli ha parlato di se stesso in maniera velata, ma comprensibile, e inoltre ha lasciato intendere come i suoi discepoli devono essere pronti a servire i fratelli con una disponibilità totale.

Il breve brano di Luca ci mostra ora come Gesù può essere accolto. Le due sorelle gli aprono la porta. Marta lo accoglie  nella sua casa, Maria lo accoglie nel suo cuore. Noi impareremo da tutte e due.

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XV domenica del tempo ordinario

Obbedirai alla voce del Signore tuo Dio, osservando i suoi comandi…; e ti convertirai al Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima”! Mosè così parlò al popolo. Le parole  con tutto il cuore e tutta l’anima sono rimaste vive ad indicare la misura dell’amore dei credenti verso il loro Dio: l’amore, se è vero, è sempre completo, impegna tutto di sé, altrimenti non è amore! A noi non è certamente possibile vivere un amore totale verso Dio: il nostro amore sarà sempre in qualche modo limitato da quell’egoismo che portiamo dentro anche senza accorgerci. Possiamo però coltivare il desiderio e la volontà della totalità dell’amore, o meglio coltiviamo la nostra unione a Gesù: in lui abita “ ogni pienezza”, anche la pienezza dell’amore al Padre! Ci teniamo uniti a Gesù,  immagine del Dio invisibilecapo del corpo che è la Chiesa, il cui sangue versato è il segno dell’amore totale sia verso Dio che verso noi uomini!

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