XXIII domenica del tempo ordinario

Il brano evangelico di oggi e di domenica prossima è tratto dal capitolo 18 di Matteo, quello in cui viene delineata l’immagine realistica della comunità dei credenti, una comunità bisognosa sempre del perdono vicendevole. Il brano di oggi riguarda i peccati pubblici e quello di domenica prossima i peccati privati. Per meglio dire, oggi l’accento è sul peccato contro l’appartenenza alla chiesa e domenica prossima sul peccato che interessa le relazioni tra persone. In effetti, l’espressione che oggi si proclama: “Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te …”, nei codici più antichi, il Sinaitico e il Vaticano del IV secolo, non è riportato l’inciso ‘contro di te’, a indicare che si tratta di un peccato pubblico. Matteo delinea la linea da seguire in questi casi. Si può pensare che per peccato pubblico si intenda una posizione eretica rispetto alla fede della Chiesa, una rivendicazione di liceità in contrasto con l’insegnamento comune quanto al comportamento. L’invito è: non abbiate fretta di condannare! Cercate in ogni modo di far emergere le intenzioni del cuore, date spazio all’ascolto, lasciate che le cose si possano giudicare con calma, prima a tu per tu, poi con qualche persona e infine pubblicamente. Lasciate che i cuori si possano spiegare. Solo dopo aver tentato tutte le vie, allora la chiesa può ricorrere alla sua autorità di ‘legare e sciogliere’, vale a dire di scomunicare e accogliere. Evidentemente, la presa d’atto che la persona in accusa sia riconosciuta fuori dalla chiesa non è un principio di autorità. L’autorità è solo quella di accogliere, di perdonare, di sostenere la conversione dei cuori. E quando tutto risultasse inutile rispetto alla pervicacia dei cuori, vale sempre il ricorso alla preghiera, vale a dire al mistero della benevolenza dei cuori che affidano a Dio altri cuori che solo Lui conosce.

Il richiamo al fatto che dove due o tre sono riuniti nel nome di Gesù, lì c’è lui, assume un valore molto più estensivo. Come a dire: la preghiera pura può scaturire da un cuore solo quando è pienamente riconciliato con i suoi fratelli. E la preghiera pura sempre ottiene. La frase non è tanto un invito alla preghiera, ma un invito a cercare sempre e comunque la riconciliazione, a dare sempre e comunque il perdono, realizzando in questo l’angolo di paradiso sulla terra: dove c’è comunione, Dio è glorificato come Padre di tutti. Come aveva potentemente intuito san Francesco chiamando ‘Porziuncola’, particella di paradiso, il primitivo luogo di abitazione con i suoi fratelli perché l’unica regola era il perdonarsi scambievolmente in tutto e in ogni cosa.

Solo così la preghiera che la chiesa innalza a Dio con la colletta risulta efficace: “ … guarda con benevolenza i tuoi figli di adozione, perché a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l’eredità eterna”. Dove si respira vera libertà? Là dove il perdono vicendevole è il principio supremo del movimento interiore. La libertà è correlata alla eredità eterna nel senso che solo nella condivisione totale ai fratelli del perdono che si riceve da Dio è dato di gustare la dolcezza del regno. Quello che la sentenza del re esprimerà a coloro che si sono chinati sui loro fratelli: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo”. Perché coloro che si chinano sui loro fratelli realizzano quello che Paolo dice ai credenti di Corinto: “Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro [‘altro’ non si riferisce solo al fratello credente, ma anche al pagano e al peccatore] ha adempiuto la legge” (Rm 13,8).

Il canto al vangelo: “ Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo, affidando a noi la parola della riconciliazione” (2Cor 5,19) rimanda alla radice per cui si può vivere senza debiti con nessuno se non dell’amore. Se Dio affida all’uomo il ministero della riconciliazione, vuol dire che ritiene l’uomo suo compagno. Con la rivelazione di Gesù, che svela, mentre compie, questo supremo desiderio di Dio, possiamo scorgere all’opera nel mondo le segrete intenzioni di Dio nei confronti delle sue creature. Per questo ci è affidata la parola della riconciliazione. È la parola come forza d’attrazione, come rivelazione del segreto di quel ‘far grazia di sé’ di Dio a noi, di noi a tutti. È il mistero della carità condiviso. Paolo riferisce di sé: “ l’amore di Cristo ci possiede; e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti”. Se quell’amore ci possiede, allora non si può non essere inglobati nel movimento di riconciliazione che Gesù vive nel suo essere inviato al mondo perché il mondo si apra allo splendore dell’amore del Padre. Se la chiesa, nel suo insieme, come comunità di credenti stretta attorno al suo Signore, ha un mistero da esprimere, un compito da vivere, una responsabilità da onorare, non può che essere quello della riconciliazione. Questo perché ciò che fa splendere la presenza di Dio nel mondo è la misericordia, la compassione, la solidarietà nei sentimenti di umanità, solidarietà che nella fatica quotidiana del vivere e del vivere le relazioni è testimoniata dal perdono vicendevole. Più è sincero, più è profondo, più è radicale, più si vive il comandamento: ama il prossimo tuo come te stesso. Vale a dire: fài esperienza che l’umanità dell’altro vale precisamente come la tua, allo stesso titolo; che la tua umanità non ha nulla da essere preferita all’umanità dell’altro. Solo così si testimonia la presenza del regno di Dio che è splendore di comunione.

Una delle espressioni più belle che definiscono la comunità dei credenti la ravviso nell’ultima strofa dell’inno delle Lodi del Comune degli Apostoli, inno che così canta: “L’annuncio che udiste nell’ombra gridatelo alto nel sole: è questa l’estrema consegna del Dio crocifisso e risorto. E voi dite, ridite sui tetti la voce che parla nel cuore: apostoli siate alle genti di Cristo, salvezza e vittoria. Il nuovo messaggio di vita vi ha spinti ai confini del mondo, su lunghi sentieri di croce, araldi del giorno che viene. Su voi, resi saldi in eterno, s’edifica e innalza la Chiesa che eterna, riversa sul mondo da Dio, come un fiume, la pace”. La storia della chiesa, la nostra piccola storia quotidiana rivela la verità di questa espressione: “che eterna, riversa sul mondo da Dio, come un fiume, la pace”? Chi ci avvicina, chi vive con noi, sente anzitutto questo? Perché questo è il segno dell’apertura di credito al vangelo nella nostra vita.

padre Elia Citterio