Domenica di Pentecoste

Quanto abbiamo celebrato nel Triduo Santo e nel Tempo pasquale, nella Pentecoste trova il suo compimento, come prega il Prefazio di questa solennità: «Oggi hai portato a compimento il mistero pasquale». Il compimento della Pasqua riguarda la nostra persona, perché è in noi che la Pasqua del Signore attende di giungere a pienezza. Una prospettiva che ci proietta nella storia del popolo di Israele, che celebra, cinquanta giorni dopo la Pasqua, la Festa delle Settimane per il dono della Tôrah da parte del Signore e, nell’annuncio dei profeti che attendevano il tempo del compimento, l’effusione dello Spirito su ogni carne, come afferma un testo di Gioele (Gl 3,1), citato nel racconto della Pentecoste negli Atti degli Apostoli.

Ma che cosa significa questa espressione, «compimento della Pasqua», della quale troviamo eco nel racconto degli Atti e nel Prefazio di questa domenica? Il compimento della Pasqua è nel dono dello Spirito, dono di Dio per eccellenza. Tuttavia potremmo chiederci quale sia il rapporto tra il dono dello Spirito e la morte e risurrezione di Gesù. Per ciascun cristiano cosa significa che la Pasqua si compie nel dono dello Spirito? Le letture della liturgia di questa domenica ci guidano a scoprire alcuni tratti di questa realtà così centrale e importante.

Nella prima lettura gli Atti degli Apostoli (At 2,1-11) descrivono il dono dello Spirito con un linguaggio vicino a quello dell’Antico Testamento utilizzato per descrivere il dono della Torah a Mosè sul Sinai. Vi è il vento, il fuoco, il terremoto, il fragore; si tratta di una teofania, una manifestazione di Dio.

Nel brano evangelico (Gv 15,26-27; 16,12-15), tratto dal Vangelo di Giovanni, ci troviamo ancora una volta all’interno del discorso di addio di Gesù. Si parla di una testimonianza che viene resa a Gesù, un tema che attraversa tutto il Quarto Vangelo a partire dalla figura di Giovanni Battista. Tale testimonianza riguarda sia lo Spirito, sia i discepoli ai quali Gesù si rivolge.

Il dono dello Spirito è compimento della Pasqua perché corrisponde al dono della Legge scritta nei nostri cuori (cf. Ger 31,31-34), ma anche perché lo Spirito dipinge in noi i tratti del volto di Gesù: «Vi guiderà a tutta la verità» (Gv 16,13). Per Giovanni la verità è Gesù stesso (Gv 14,6), e il dono dello Spirito, quale compimento della Pasqua, ci rende veramente discepoli del Signore ricordandoci tutto ciò che egli ha detto (Gv 14,26).

È proprio grazie al dono dello Spirito che può avvenire in noi quel compimento delle sofferenze di Cristo, cioè della sua Pasqua, di cui parla la Lettera ai Colossesi: «Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). Comprendiamo così come il compimento della Pasqua non è qualcosa di esterno alla nostra persona, ma una realtà che ci riguarda profondamente.

Noi siamo il luogo nel quale il compimento si realizza: è la nostra docile apertura allo Spirito il luogo nel quale la Pasqua di Gesù si compie facendo germogliare in noi i frutti dello Spirito (cf. Gal 5,16-25). È ciò di cui parla Paolo nella Lettera ai Galati, quando fa riferimento alla vita secondo la carne e secondo lo Spirito come a due logiche di vita opposte e inconciliabili. La vita secondo la carne è la vita dell’uomo che non accoglie in sé la logica della Pasqua, è la vita ripiegata su di sé, nella quale lo Spirito non trova accoglienza; è segnata dalle «opere della carne» (Gal 5,19-21). Una molteplicità di opere indice di divisione e dispersione. Quando invece fa riferimento alla vita secondo lo Spirito, non parla di opere, ma di «frutto» (Gal 5,22), perché nasce grazie a un dono ricevuto e accolto: il dono dello Spirito effuso nei cuori dei credenti, un unico frutto che si manifesta in molteplici sfumature. È un unico frutto perché corrisponde al dono dell’immagine di Cristo in noi per opera dello Spirito.

La Pentecoste è realmente la celebrazione del compimento della Pasqua: un compimento che non ci è estraneo ma che attende di «accadere» in noi e per noi. È la Pasqua del Signore che diviene vita dei credenti.

 

 

a cura dell’Ufficio Liturgico Nazionale