VI Domenica di Pasqua

La liturgia di oggi delinea già lo scenario di Pentecoste. Gesù annuncia l’invio dello Spirito Santo che si farà nei cuori intelligenza del suo mistero e movimento di rivelazione dell’amore del Padre per il mondo. Il brano evangelico di oggi è la risposta alla domanda di Giuda: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?”. E la domanda segue la dichiarazione di Gesù: “Chi accoglie[letteralmente: chi ha]i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14,21). Ciò che aveva colpito l’apostolo Giuda era l’accenno alla manifestazione. Pensava che la manifestazione del regno si dovesse imporre al mondo nel senso che la potenza di Dio avrebbe stabilito il suo regno con forza, vincendo tutti i nemici che fino a quel momento l’avevano avversato. Capisce però che Gesù dice altra cosa e per questo fa la domanda, che è la domanda messianica per eccellenza: come si rivelerà il regno di Dio? Come lo vedremo?

Se il regno di Dio è il regno dell’amore del Padre per noi, allora la manifestazione è dovuta all’amore e non all’evidenza. Sarà l’amore che saprà leggere la storia e non la storia a rivelare l’amore. La storia resta con i suoi drammi e le sue ferite, con le sue tragedie, personali e comunitarie, eppure con Gesù qualcosa di radicalmente nuovo è intervenuto. È caratteristico che Gesù parli della sua pace, della pace che dà lui, diversamente dal mondo, dopo aver promesso l’invio dello Spirito Santo. La pace è il segnale dell’amore goduto, e l’amore è il dinamismo suscitato nei cuori dallo Spirito Santo che Gesù effonde dalla croce e conferma con la risurrezione. Solo in quell’amore l’uomo ha la possibilità di ‘vedere’ il regno di Dio, di vederlo compiersi, di toccarlo e viverne lo splendore. Tanto che la pace che Gesù dà non significa: faccio pace con te o faccio sì che tu sia in pace con me, ma: ti assicuro la pace sempre, nelle tribolazioni e nelle prove, patite per il mio nome. È il dono tipicamente pasquale, il dono messianico per eccellenza, quello che ci permette di gustare la compagnia di Dio, la presenza del Vivente in noi, realizzando nel mondo il senso del nome Emmanuele: Dio con noi! Lo si vedrà bene nel racconto degli Atti degli apostoli, dove lo Spirito è sempre abbinato alla gioia nel contesto delle tribolazioni della vita.

La condizione di possibilità perché ciò avvenga è svelata alla fine del brano, che nella versione CEI suona: “Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il principe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco” (Gv 14,30-31). L’espressione ‘contro di me non può nulla’, tradotta più letteralmente sarebbe: ‘in me non ha nulla’. Siccome in Gesù c’è solo l’amore del Padre, il demonio non ha alcun diritto su di lui nel senso che può rovesciargli addosso tutto il male che vuole [la passione di Gesù, con tutta la violenza e l’ingiustizia che comporta, è vista come l’azione del demonio che tenta di prevalere], ma senza poterlo deviare dal suo scopo, senza potergli sottrarre quell’amore; al contrario, suo malgrado, farà risplendere davanti a tutti quell’amore affascinando i cuori. Questa espressione è costruita allo stesso modo dell’altra che la richiama: ‘chi ha i miei comandamenti’ (v. 21), che la versione CEI traduce: ‘chi accoglie i miei comandamenti’. Quando un cuore è conquistato all’amore di Gesù, non facendo valere altro che i suoi ‘comandamenti’, le sue parole, la verità vissuta delle sue parole, perché in essi ha scoperto le radici del vivere beato, ne conoscerà la potenza di vita e il demonio nulla potrà contro quell’amore, non potrà cioè mortificarlo.

Quando al battesimo e alla trasfigurazione la voce dal cielo aveva proclamato su Gesù: “Questi è il Figlio mio, l’amato”, il significato non è semplicemente da riferire a Gesù ma anche a tutti noi in lui. Vale a dire: tutti noi, credendo a quel Figlio, l’Inviato del Padre e accogliendo la sua parola accordandole il credito di verità per la vita, entreremo nella benedizione di quell’amore di predilezione, nel quale il Padre vuole inglobare tutti. La rivelazione di Dio è sempre per noi perché non c’è rivelazione che non parli dell’amore di Dio per l’uomo. E se nel Padre nostro chiediamo: ‘sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra’, non chiediamo prima di tutto di poter stare fedeli alla sua volontà, ma più direttamente di poter sperimentare la sua volontà di amore per noi nella nostra vita, tanto da godere della comunione con lui al di sopra di tutto. Questo ci otterrà l’azione dello Spirito Santo, che ci farà fare memoria viva del Signore Gesù in questo mondo. Cosa che potrei commentare così: se cerco l’amore avrò la felicità, ma se perseguo la felicità finirò per perdere l’amore.

La letizia pasquale, che è per la comunione, si radica appunto nell’azione dello Spirito Santo nei nostri cuori per renderci, con Gesù, testimoni dell’amore del Padre per tutti. Lo proclama il salmo responsoriale: “Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti. Ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra” (Sal 66/67,6.8). L’ansia di comunione non si placa finché tutti i confini della terra avranno veduto la salvezza del nostro Dio: così è la chiesa, che vive della dinamica pasquale. Ma così è anche il nostro cuore, che attende di essere conquistato in tutte le pieghe dall’amore. 

padre Elia Citterio