Un libro a settimana: La dottrina spirituale di Louis Lallemant

Primo principio: Lo sguardo al fine

Capitolo 01: Dio solo ci può rendere felici

§ 1.      Sentiamo nel cuore un vuoto che tutte le creature insieme non riuscirebbero a riempire. Esso non può essere colmato che dal Signore, nostro principio e nostro fine. Il possesso di Dio riempie questo vuoto, rendendoci felici, mentre la privazione di Dio lo abbandona, rendendoci infelici.

Prima di riempire un simile vuoto, Dio ci mette sulla via della fede, a questo patto: se noi lo consideriamo sempre come nostro fine ultimo, usando delle creature con moderazione e riferendo al suo servizio l’uso che ne facciamo. Quando fedelmente si contribuisce da parte nostra alla gloria che Dio vuol trarre da tutti gli esseri creati, Egli allora si comunicherà al nostro spirito per riempire il vuoto che sentiamo dentro di noi e renderci felici. Se invece noi manchiamo di fedeltà, Egli ci lascerà in questo vuoto che, non riempito, costruirà la nostra somma miseria.

§ 2.      Le creature vogliono far le veci del nostro fine ultimo e noi stessi siamo i primi a voler essere ultimo fine a noi medesimi. Una creatura ci dice: «Accostati a me che ti renderò pago e soddisfatto». Noi le prestiamo fede; ma essa ci delude. In seguito una seconda, una terza ci ripetono lo stesso invito, ma esse ugualmente ci ingannano; così per tutta la durata della vita. Da ogni parte ci lusingano le creature, promettendo di soddisfare a ogni nostra brama. Ma nonostante che tutte le loro promesse non siano che menzogne, pur tuttavia noi siamo sempre disposti a lasciarci sedurre. Sarebbe come se uno tentasse di riempire il fondo del mare rimasto vuoto con acqua presa dal cavo della mano. Ecco perché noi non siamo mai contenti: aderendo alle creature, esse ci allontano da Dio, gettandoci nella pena, nel turbamento, nella miseria; qualità tutte così inscindibili dalla creatura come la pace e la felicità sono inseparabili da Dio.

§ 3.      Noi assomigliamo a quelle persone prese da nausea che, assaggiata una vivanda, la rifiutano per stendere tosto la mano ad un’altra, lasciata poi da parte come la prima: così non trovano nulla che sia secondo il loro gusto. Ci gettiamo su ogni sorta di oggetti senza mai raggiungere un completo contento. Dio solo è il supremo bene che ci può rendere felici; e noi ci eludiamo quando andiamo dicendo: «Se fossi in quel luogo, se avessi quell’ufficio, sarei proprio contento. Quella persona, avendo quanto brama, è veramente felice!». Vanità!…

Anche se si occupassero le più alte cariche, non si potrebbe essere interamente contenti. Cerchiamo perciò Dio, unicamente Dio, perché Dio solo può appagare ogni nostro desiderio.

§ 4.      Un tempo il demonio si nascondeva sotto le sembianze di Dio, quando negli idoli si presentava ai popoli pagani come l’autore e il fine di quanto esiste nell’universo. Le creature ripetono press’a poco lo stesso giuoco. Esse prendono le sembianze di Dio, dandoci a intendere che ci accontenteranno, offrendoci anche di che soddisfarci. Ma quando esse presentano non serve che ad aumentare il vuoto del nostro cuore, che noi ora non percepiamo. Non lo si potrà percepire bene se non nell’altra vita, quando l’anima separata dal corpo, ha un desiderio quasi infinito di vedersi tutta investita da Dio; un tale desiderio, frustrato dall’attesa, fa soffrire al nostro spirito una pena quasi infinita.

§ 5.      Nell’ora della morte capiremo la grande nostra sventuta di esserci lasciati illudere e affascinare dalle creature. Ci meraviglieremo d’aver voluto far getto, per futili e basse cose, di grandi e preziosi beni.; e giusta pena della nostra pazza condotta sarà il trovarci privati, per un determinato tempo, della visione di Dio, senza la quale nulla può appagare il nostro spirito. Inconcepibile è il desiderio che abbiamo di vedere e di possedere Dio, come del resto è inconcepibile la pena che nasce in noi da un tale desiderio non appagato.

Ecco perché dobbiamo deciderci a rinunciare con generosità a tutte le iniziative che potremo intraprendere di nostro arbitrio, a tutte le mire, le brame, le speranze di quelle cose che potrebbero lusingare l’amor proprio, insomma tutto quanto è di ostacolo a promuovere la gloria di Dio. Le espressioni bibliche: camminare alla presenza di Dio, aver l’anima retta, camminare nella verità, cercar Dio con tutto il cuore esprimono tutto ciò. Senza di che, noi non potremo mai essere contenti.

§ 6.      Perché affezionarci alle creature, come purtroppo facciamo? Sono così limitate e così prive di beni solidi, che il massimo piacere e l’intiera soddisfazione che da esse possiamo riprometterci, non è che una vana ed immaginaria felicità, la quale, invece di saziarci, non fa che eccitare la fame, perché le nostre brame, essendo infinite, non possono essere appagate che mediante il possesso del sommo bene. Tanto più che le creature hanno una breve durata, e presto o esse ci abbandonano, o noi stessi siamo costretti ad abbandonarle.

Quanto poi agli uomini in particolare, non ci è forse noto che essi non amano, che essi stessi e che in ogni cosa non cercano che il loro interesse? Al proprio vantaggio indirizzano quel poco di bene di credito, di autorità che posseggono; quand’anche avessero in abbondanza ogni bene, non ne userebbero diversamente. Quanto essi non compiono puramente per amor di Dio, lo compiono per amor proprio; anche in tutto ciò che fanno per gli altri, non perdono mai di vista se stessi. Né ci si dimostrano favorevoli, fedeli ed amici, se non perché trovano il loro tornaconto. Che assegnamento possiamo fare sul favore e sull’amicizia degli uomini?

 

tratto da “La dottrina spirituale” di Louis Lallemant