Un libro a settimana: La pace del cuore di di J.Philippe

3. La paura della sofferenza

L’altro grande elemento, che costituisce impedimento all’abbandono fiducioso a Dio, è la presenza della sofferenza nella nostra vita personale come nel mondo che ci circonda, di tutte queste sfortune che sembrano contraddire le parole del Vangelo su Dio Padre, che prende cura dei suoi figli. Dio permette delle sofferenze anche per coloro che si abbandonano a lui, lasciando che manchino di alcune cose, a volte in modo doloroso. In quale povertà ha vissuto la famiglia della piccola Bernadette di Lourdes!

Vorrei portare un esempio: fin quando una persona che deve saltare col paracadute non si sarà gettata nel vuoto, non potrà sentire che le corde del paracadute la sostengono. Bisogna prima fare il salto, solo in seguito ci si sentirà portati. Così è anche nella vita spirituale: « Dio dona nella misura che attendiamo da lui », dice san Giovanni della Croce; come pure san Francesco di Sales: « La misura della divina Provvidenza a nostro riguardo è la fiducia che riponiamo in essa ».

Proprio questo è il vero problema. Molti non credono alla Provvidenza perché non ne hanno mai fatto l’esperienza, e non possono farne l’esperienza perché non si decidono a fare il salto nel vuoto, il passo nella fede. Non lasciano mai al Signore la possibilità d’intervenire: calcolano tutto, prevedono tutto, cercano di risolvere ogni cosa, contano esclusivamente su dei mezzi umani. I fondatori di ordini religiosi procedono con audacia in questo spirito di fede, acquistano case senza avere un soldo, accolgono poveri pur non avendo di che nutrirli. E Dio compie miracoli per essi: arrivano degli assegni, si riempiono i granai. Troppo spesso, però, qualche generazione più tardi si perde questa bella audacia: tutto è pianificato, contabilizzato, non si affronta una spesa senza la certezza di poterla sostenere con i mezzi a disposizione. Come potrà allora manifestarsi la Provvidenza? Non c’è spazio per lei!

Quanto diciamo è ugualmente valido sul piano spirituale. Se un sacerdote prepara tutti i sermoni e le conferenze, per essere sicuro di non venire mai preso alla sprovvista davanti al suo auditorio, e non ha mai l’audacia di lanciarsi nella predicazione col sostegno della sola preghiera e della confidenza in Dio, come potrà fare questa esperienza tanto bella dello Spirito santo che parla per mezzo delle sue labbra? Ricordiamoci le parole del Vangelo: « Non preoccupatevi di come o di cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi » (Mt 10,19-20).

Evidentemente non intendiamo dire che non si debba essere prudenti, pianificare bene i propri affari, preparare le proprie omelie. Le nostre capacità naturali sono anch’esse strumenti nelle mani della Provvidenza. Tuttavia esiste una differenza enorme tra colui che, non credendo all’intervento di Dio, programma tutto fin nel minimo dettaglio e non intraprende nulla se non nella misura esatta delle sue possibilità, e colui che fa tutto ciò che deve fare, ma si abbandona con fiducia a Dio che provvederà a quanto gli è richiesto oltre il previsto. E quanto il Signore ci chiede va sempre ben oltre le naturali possibilità e previsioni umane!

Questo non smentisce certo la parola di Dio. Il Signore potrà certo lasciarci mancare di alcune cose — giudicate talvolta indispensabili agli occhi del mondo —, ma non ci lascerà mai senza l’essenziale: la sua presenza, la sua grazia, e tutto ciò che necessita alla piena realizzazione della nostra vita secondo i suoi progetti su di noi. Se egli permette delle sofferenze, la nostra forza risiede proprio nel credere, come dice Teresa di Gesù Bambino, che Dio non permette delle sofferenze inutili.

Nell’ambito della nostra vita personale, come in quello della storia del mondo, dobbiamo essere convinti che Dio è tanto buono e potente da utilizzare in nostro favore tutto il male, qualunque esso sia, e tutte le sofferenze, per assurde ed inutili che possano sembrare. Di questo non possiamo averne alcuna certezza matematica o filosofica: possiamo solo fare un atto di fede. Proprio a questo atto di fede ci invita la proclamazione della risurrezione di Gesù, accolta come il segno della vittoria definitiva di Dio sul male.

Il male è un mistero, uno scandalo e lo rimarrà per sempre. Bisogna fare quanto possibile per eliminarlo ed alleviare la sofferenza che procura. Esso resta comunque sempre presente nella nostra vita. Il suo posto nell’economia della redenzione appartiene alla saggezza di Dio, che non è la saggezza degli uomini, ed avrà sempre in sé qualcosa di incomprensibile. « Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie, oracolo del Signore. Quanto il ciclo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri » (Is 55,8-9). (…)

tratto da “La pace del cuore” di J.Philippe (ed. Dehoniane – Roma)