Ascensione del Signore

Due sono le immagini dell’ascensione al cielo di Gesù presentata dalle letture di oggi: la visione di Luca e la visione di Matteo. Luca, autore anche del libro degli Atti degli apostoli, che inizia appunto con il racconto dell’evento dell’ascensione, conclude il suo vangelo con una immagine plastica: Gesù si sottrae alla vista dei discepoli in atto di benedirli. È quella benedizione che riempie i cuori tanto da rimarcare, stranamente, che i discepoli non vedranno più il loro Maestro, ma i loro cuori sono totalmente conquistati dalla gioia. In quella gioia attenderanno il dono dello Spirito Santo che unirà alla gioia la forza, la capacità di offrire quella gioia a tutti nel loro percorrere il mondo annunciando il vangelo di Gesù.

Matteo, invece, non indulge in particolari, non fissa la sua attenzione sui discepoli e nemmeno su Gesù che scompare alla vista dei discepoli. Dato che l’evento dell’ascensione conclude il suo vangelo, si premura di riassumere in quaranta parole (contate!) tutto il vangelo, tutto l’annuncio del vangelo di Gesù. Chi ascolta le sue parole ha modo di ripercorrere in filigrana tutto il vangelo e tutto l’insegnamento di Gesù. Possiamo intravedere nel suo racconto i rimandi al vangelo attraverso cinque parole.

1. Parla di un monte, senza specificare quale. Il lettore del vangelo può riandare almeno a tre monti che ha ritrovato nel racconto di Matteo: il monte altissimo della tentazione (proprio quello dove il diavolo ha chiesto a Gesù di prostrarsi in adorazione a lui), il monte delle beatitudini dove Gesù ha proclamato la novità del suo insegnamento, il monte della trasfigurazione dove Gesù ha svelato la luce della sua divinità;

2. Parla dell’adorazione dei discepoli, ma annotando che serpeggiavano ancora dubbi. Matteo non presenta mai la fede dei discepoli sicura, definitiva, totale. La fede è sempre passibile dell’incertezza del cuore, incertezza che si risolve nel riferirsi fiducioso alla persona di Gesù. Caratteristico il brano del tentativo di Pietro di camminare sulle acque, che sembrava avere una fede sicura ma che poi, sentendo il vento, teme e affonda e allora supplica Gesù per essere salvato;

3. Parla di un potere: “a me è stato dato ogni potere in cielo e in terra”. È forse il termine più ambiguo per i nostri cuori. Di quale potere Gesù si arroga? È il potere dell’obbedienza all’amore del Padre, del servizio, dello stare in mezzo ai discepoli come colui che serve. Questo potere è lo splendore della divinità. Tutto il vangelo descrive Gesù in questo atteggiamento. E volendo entrare più a fondo in questa solenne dichiarazione di Gesù che sigilla la sua missione, in cielo e in terra, potremmo spiegare così. Come Figlio di Dio, ha tutto il potere di rivelare il vero volto del Padre, che è amore misericordioso per noi; ha il potere della verità su Dio. Come Figlio dell’uomo, ha il potere di portare a compimento tutti gli aneliti di fondo della umanità; quel disporsi al servizio, quello stare solidale anche con coloro che lo oltraggiano, quel custodire l’amore nell’ingiustizia, rivela una pienezza di umanità desiderabile;

4. Parla di un comando: “fate discepoli tutti i popoli”. È il comando che riassume il senso stesso del discepolato di Gesù. Credere in Gesù significa accettare di essere assunti nella dinamica del suo stesso invio al mondo per far conoscere la grandezza dell’amore del Padre. Il testo non dice di ‘istruire’, di ‘indottrinare’, ma di ‘fare discepoli’, vale a dire solleticare la libertà di ciascuno ad aderire al vangelo di Gesù come all’esperienza singolare della vita per gustare la verità dell’amore di Dio. In pratica, quella che è stata l’esperienza dei discepoli rispetto all’agire di Gesù con loro, diventa il modello di riferimento per l’agire dei discepoli verso il mondo. Con questo piccolo dettaglio di senso: il percorrere il mondo ha valore solo in riferimento a questo invitare i fratelli a Gesù. La frase in greco non è costruita sull’andare, ma sul fare discepoli. Il comando non è di andare ma di fare discepoli e siccome tutti sono degni dell’essere discepoli di Gesù, allora a tutti si va perché questo anelito si compia per tutti;

5. Parla di una presenza costante: “Io sono con voi tutti i giorni”. Con questo è giustificata la gioia dei discepoli rispetto alla sottrazione di Gesù ai loro sguardi. Ciò significa che nella percezione degli apostoli l’ascensione è colta come un dono di presenza, come un’interiorizzazione di rapporto, che non solo non perde nulla della sua realtà con la sottrazione della fisicità di Gesù, ma acquista profondità e intensità insospettate. Se volessi riassumere con mie parole la sensazione degli apostoli, direi che si è trattato dell’esperienza di una gioia assolutamente dinamica, capace di allargare i confini del cuore e le energie corrispondenti in maniera illimitata. Resta sottolineata sia una dimensione di azione, in rapporto diretto con la missione alle genti, sia una dimensione di essere, in rapporto all’esperienza della presenza potente di Gesù in loro e con loro. Come è in cielo, così nei cuori: questa è la radice della gioia. Gioia ecclesiale, perché è il tesoro della propria umanità come dell’umanità di tutti. Ed è proprio in questa gioia che sta il superamento più radicale di ogni forma di gelosia, che tanto affligge i rapporti umani, soprattutto nella chiesa.

Il testo evangelico comporta una sottolineatura speciale per la nostra umanità. Per quattro volte si ripete la parola tutto: “ogni potere … tutti i popoli … tutto ciò che vi ho comandato … tutti i giorni”. Viene sottolineata la compiutezza, l’universalità, la totalità del mistero che si compie.

Potremmo comprendere così: il tempo della missione della chiesa mira a rendere evidenti per i cuori gli effetti del saper riconoscere che a Gesù è stato dato ogni potere. Perché il nostro cuore rivendica così sovente i suoi diritti, giustifica così sovente le sue ire, resta schiacciato dalla vergogna per le sue colpe ed ha così paura di consegnarsi alla promessa di Gesù? Non è scontato per noi arrivare a dire: riconosco, Signore, che ogni momento del mio vivere e ogni punto del mio cuore si può aprire allo splendore della tua presenza; riconosco che non c’è nulla in me che non possa essere liberato dalla paura e dalla vergogna perché tu sei in noi e con noi!

padre Elia Citterio