V domenica del tempo ordinario

Quando le beatitudini sono diventate le vie del proprio cuore, allora possiamo anche sentirci rivolgere le parole di Gesù: “Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo…”. Evidentemente, seguire Gesù non comporta uscire dal mondo, appartarsi dal mondo, vivere in qualche nicchia a parte. Tutto l’opposto: Gesù invia al mondo. Tanto che proprio la vita nel mondo, nella realtà del mondo, in tutte le mediazioni che comporta, deve essere il luogo dove far splendere la luce, dove dar sapore alle cose, dove far emergere la presenza del Signore che è venuto a dare la vita. A questa condizione di fondo: essere nel mondo, ma non del mondo; vivere la vita nel mondo, senza pretendere di succhiarla dal mondo.

Qui risalta in tutta la sua forza la testimonianza dell’apostolo che scrive ai Corinzi di non essersi presentato sulla base di eccellenze umane o religiose, come si trattasse di convincerli con la sua sapienza o la sua dirittura. Non ha ritenuto importante se non una cosa e solo quella ha fatto valere: Gesù Cristo e questi crocifisso. Non però come argomento di predicazione, bensì come fondamento di tutto ciò che dice e fa. In questo lui è stato luce e sale della terra. Luce e sale perché uno spirito solo con Cristo, perché obbediente in tutto alla sua parola, perché in lui ha scoperto l’immensità dell’amore di Dio per l’uomo da costituire l’unica radice di senso e di attività nella vita. Le beatitudini di Gesù sono diventate le vie del suo cuore. Era nel mondo senza essere in nulla del mondo. Come dirà: non vivo più io, ma Cristo vive in me!

D’altro canto, il brano del profeta Isaia non fa che definire in un altro modo le condizioni per diventare sale e luce, conseguenza del vivere l’insieme delle beatitudini. Elenca cinque condizioni, tre negative e due positive. Le tre negative: non opprimere, non accusare, non lamentarsi. E potremmo interpretare così: quando un uomo non schiaccia nessuno, non porta accusa contro nessuno, non è insolente verso nessuno, allora è sulla via di Dio. Le due positive: apri il cuore all’affamato, sazia l’afflitto. Non si dice semplicemente di dare da mangiare all’affamato, ma di togliersi il pane di bocca per darlo a chi ha fame e così togliere l’afflizione non solo della fame, ma della solitudine al proprio fratello nel bisogno. Il brano di Isaia termina: “Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa: sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono” (Is 58,11). Si realizza la promessa della presenza del Signore in mezzo al suo popolo.

Il salmo responsoriale definisce la beatitudine dell’uomo nell’essere misericordioso, pietoso e giusto, che sono le qualità che la Scrittura attribuisce a Dio nei confronti degli uomini. Sono queste a rendere luminoso l’uomo. E Gesù le applica ai discepoli che hanno accolto le sue beatitudini con l’immagine del sale e della luce.

Consideriamo separatamente le due immagini. Il sale ha due qualità: rende saporito il cibo e conserva. Nella Scrittura si conosce l’espressione ‘alleanza di sale’ (Nm 18,19 e 2Cr 13,5) per indicare la perpetuità dell’alleanza di Dio con gli uomini. Applicata ai discepoli l’immagine significa che i discepoli sono chiamati a conservare e a rendere saporito il mondo nella sua alleanza con Dio. Da notare che se il sale dà sapore alle cose, le cose non possono dare sapore al sale. Il che significa ancora: i discepoli sono chiamati a permeare il mondo con la sapienza del vangelo, ma non servono a nulla se il mondo permea loro con la sua sapienza. I discepoli, mantenendo il mondo degli uomini nell’alleanza con il loro Dio, che li vuole in comunione con lui e tra di loro, tornano a far splendere la Sua presenza tra di loro e rendono la vita desiderabile e amabile. Se poi ci riferiamo al fatto che in Palestina con i blocchi di salgemma si alimentava il fuoco del focolare, l’immagine del sale comporta acquista anche la valenza di qualcosa che scalda, che dà calore.

La luce. Un’antica glossa bizantina spiega il passo di Matteo così: “Non dice: voi siete luci, ma voi siete luce, perché essi [discepoli] tutti insieme sono il corpo del Messia che è la luce del mondo” (cfr. Gv 3,19; 8,12). Diventano luce del mondo nel senso che la presenza di Dio, resa come visibile nel mondo attraverso il loro agire secondo le beatitudini, costituisce l’orizzonte di senso della vita. Le beatitudini non sono se non le vie per le quali si può partecipare alla effusione nell’universo della carità pura di Dio. È la carità a custodire i cuori preservandoli dalla corruzione e facendo gustare il sapore genuino della vita (ecco l’azione del sale) e li illumina aprendoli alla verità (ecco l’azione della luce). Le buone opere che gli uomini devono vedere nei discepoli sono le opere che derivano dalla pratica delle beatitudini.

Noi vorremmo, sì, percepirci luminosi, ma tutti riconosciamo di dover fare i conti con la tenebra che oscura il nostro cuore in termini di chiusura, oppressione, angoscia. Opportunamente, quando Massimo Confessore spiega l’invocazione ‘non ci indurre in tentazione’ nella preghiera del Padre Nostro, ha l’ardire di precisare: “La Scrittura rivela infatti con questo come chi non ha perfettamente perdonato a chi cade e non ha presentato a Dio un cuore privo di tristezza, reso splendente dalla luce della riconciliazione con il prossimo, non otterrà la grazia dei beni per cui ha pregato, e, per giusto giudizio, sarà consegnato alla tentazione e al Maligno. Imparerà così a purificarsi dalle colpe, eliminando le sue lagnanze contro gli altri …”. Ci dice in sostanza che non subiremo tentazioni se avremo la capacità, da assimilare poco a poco, di non accusare nessuno perché allora – continua Isaia – “implorerai aiuto ed egli dirà: Eccomi!”. Quando il cuore non accusa nessuno, neanche se stesso, non può cedere all’oppressione, perché il Signore è con lui. Non c’è sventura o afflizione capace di ferirlo a tal punto da aver bisogno di cercare la sua giustizia o la sua rivalsa contro qualcuno, distogliendolo dall’intimità con il suo Signore.

Se Gesù chiede ai discepoli di essere la luce del mondo, vuol dire che chiede loro di essere il segno della misericordia di Dio tra gli uomini, come lo è lui stesso. In questo senso l’invito e il comando ad essere sale e luce si riferisce all’attuazione di quello che Gesù dirà ai suoi discepoli alla fine del vangelo: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli … insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19-20). Se le nostre opere buone devono risplendere davanti agli uomini, secondo il comando di Gesù, ciò significa che le nostre opere buone devono essere a vantaggio, per profitto degli uomini [così si dovrebbe tradurre il ‘davanti agli’ uomini] permettendo loro di sperimentare l’amore di Dio per loro.

padre Elia Citterio